News Pubblicata il 20/12/2019

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Sequestro e confisca dei beni dell’impresa revocabili dal curatore?

Prevalenza della procedura concorsuale o dell'interesse statale alla confisca del profitto del reato? Il punto della giurisprudenza e le novità nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.



La questione relativa alla legittimità da parte del curatore di chiedere la revoca di un sequestro preventivo ai fini della confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale è stata, ed è, tuttora oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale e trova inoltre una risposta normativa nelle nuove disposizioni del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14/2019) la cui entrata in vigore è prevista nell’agosto 2020.

Come noto, nell’ambito dei procedimenti relativi all'accertamento della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti per reati commessi a vantaggio degli stessi, vengono adottati  provvedimenti di sequestro e confisca del patrimonio della società (cfr. art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001). Tale possibilità è estesa anche all’ambito dei reati tributari, come previsto dall’art.12-bis, d.lgs. 74/2000.

Accade di frequente che, le società destinatarie dei provvedimenti di sequestro o confisca, successivamente falliscano, ponendosi così il problema di stabilire se debba prevalere l’interesse del curatore fallimentare a gestire il patrimonio dell’impresa nell’ottica della procedura liquidatoria nonchè quello dei creditori ammessi al passivo fallimentare ovvero le ragioni dell’amministratore giudiziario che rende indisponibili i beni dell’impresa. Il curatore si può quindi trovare a dover gestire un patrimonio di cui non ha il possesso, con evidente compromissione dello svolgimento della propria attività.

La problematica ha trovato soluzioni altalenanti in giurisprudenza, anche in relazione al momento in cui viene dichiarato il fallimento dell’impresa rispetto all’emissione del provvedimento di sequestro e successiva confisca.

Prima di analizzare i principali orientamenti giurisprudenziali, si evidenziano le recenti disposizioni del Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza che riconoscono espressamente la legittimazione del curatore proporre richiesta di riesame, appello e ricorso per cassazione avverso il decreto di sequestro e le relative ordinanze (cfr. art 320 C.C.I.). In tal senso, anche l’art. 318 C.C.I. stabilisce che, dopo la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, il curatore può chiedere al giudice la revoca del sequestro preventivo dei beni dell’attivo.

Passando alla giurisprudenza, nel caso in cui il fallimento della società venga dichiarato prima del provvedimento di confisca, l’orientamento maggioritario, dopo un primo momento di chiusura, ha ammesso la possibilità per il curatore di impugnare la misura disposta. Ciò anche considerando che il potere di fatto sulla gestione dei beni sia, in questa ipotesi, già stato acquisito dalla curatela (cfr. Cass. N. 37439/2017).

Più delicata appare la soluzione, nel caso in cui il fallimento sia successivo all’emissione del provvedimento. Alcune pronunce di legittimità escludevano la legittimazione del curatore a impugnare la misura disposta in ragione del fatto che lo stesso non avrebbe ancora acquisito la disponibilità dei beni (cfr. Cass. N.45574/2018).

La Corte di Cassazione penale a Sezioni Unite si è recentemente espressa con la Sentenza del 26 settembre 2019, n. 45936, riconoscendo la legittimazione del curatore a impugnare i provvedimenti di sequestro preventivo ai fini della confisca anche qualora gli stessi siano precedenti alla dichiarazione di fallimento. Ciò corrisponde peraltro a quanto disposto dall’ art. 42 della legge fallimentare, ai sensi del quale, la dichiarazione di fallimento conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest'ultimo esistenti alla data del fallimento e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro.



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