Speciale Pubblicato il 12/01/2023

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Quando la s.r.l. giunge a «scadenza»: prontuario

di Dott. Mario Serblin

L'elemento della «durata» nei contratti costitutivi delle società capitalistiche: società a tempo determinato e prorogabilità della s.r.l. scaduta



Da un raffronto a colpo d'occhio delle discipline legali dettate per la costituzione dei tipi societarî capitalistici, s'inferisce che la durata, mentre è un elemento apparentemente essenziale dell'atto costitutivo della società azionaria, all'incontro, e altrettanto apparentemente, non rappresenta affatto un elemento del contratto che costituisce la società a responsabilità limitata (cfr. artt. 2328 c. 2 n. 13 e 2463 c.c.).

Il precipitato logico di questa differente opzione di politica legislativa dovrebbe consistere in ciò, che, mentre il contratto sociale di s.p.a. che mancasse d'indicare la propria durata dovrebbe reputarsi invalido, la s.r.l. contratta sine die dovrebbe certamente intendersi costituita a tempo indeterminato (in questo senso, infatti, limitatamente alla s.r.l., Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, massima F.A.3). Ma a scongiurare quell'indesiderabile conseguenza, interviene il principio ermeneutico di «conservazione del contratto» (art. 1367 c.c.), che fa comunemente dire agli studiosi della società per azioni che la mancata indicazione di un determinato termine di durata ovvero la mancata menzione, nel contratto sociale, che la società venne costituita a tempo indeterminato, non può che essere interpretata come tacita previsione di una durata indeterminata (in questo senso, per tutti, M. Silva e M. Zaccaria, in Cian e Trabucchi, Commentario breve al codice civile, XI ed. a cura di G. Cian, Padova, 2014, sub art. 2328, p. 2759)

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La società contratta a tempo determinato come «normotipo» della s.r.l.

Sebbene il silenzio dell'art. 2463 c.c. sulla durata potrebbe far pensare, a tutta prima, che la società contratta sine die costituisca la regola in tema di società del tipo a responsabilità limitata, il vero è che essa, nella pratica giuridica, – con la pur frequente eccezione della società semplificata – è ben rara a vedersi.

La ragione di ciò è chiara: preservare il patrimonio dell'ente dal rischio di collisione con quel «masso erratico» rappresentato, nel sistema delle società capitalistiche contratte sine die, dall'istituto del recesso ad nutum (v., per la s.r.l., art. 2473 c. 2 c.c.).

Secondo il canone, la s.r.l. così detta «ordinaria» è, pertanto, una società «a tempo determinato»; come tale, destinata, prima o poi, a giungere a «scadenza» (es.: la durata della Alfa s.r.l. è fissata al 31 dicembre 2060).

Il decorso della durata della s.r.l. contratta a tempo determinato: individuazione delle norme applicabili

La durata del contratto sociale – in quanto elemento dello statuto – è rimessa alla libera determinazione dei soci, i quali, riunendosi in assemblea, possono, in ogni tempo, con le maggioranze previste per le modificazioni dell'atto costitutivo (v. artt. 2479 c. 2 n. 4 e 2479-bis c. 3 ultima parte c.c.), decidere di prorogarla, financo prevedendo che la società abbia durata indeterminata.

Per ragioni facilmente intuibili, la decisione sulla proroga s'impone come particolarmente opportuna a ridosso della scadenza della società. S'intende: a condizione che i soci, che ne costituiscono il sostrato soggettivo, vogliano perpetuare lo svolgimento di una data attività economica organizzata servendosi di quello stesso «schermo» societario; a condizione, cioè – in una parola –, che vogliano che la società continui a operare sul mercato.

Sennonché, la pratica notarile mette frequentemente a nudo le gravi disattenzioni di soci e amministratori delle s.r.l., specialmente di piccole e piccolissime dimensioni.

Il caso tipico è di questa forma: la Alfa s.r.l., intendendo acquistare un immobile di proprietà della Beta s.a.s. di Caio, nel gennaio 2023, dà mandato professionale al notaio Tizio Tizi di Venezia affinché rediga il relativo atto traslativo. Dalla consultazione della c.d. «visura camerale», il notaio Tizi si avvede del fatto che la Alfa s.r.l. è «scaduta» il 31 dicembre 2020.

Quid juris in un caso siffatto?

Il «riflesso condizionato» di alcuni operatori del diritto, adusi a una «malpractice» dura a morire, potrebbe essere quello di compulsare il vigente statuto della società Alfa alla ricerca di una clausola c.d. di rinnovazione – purtroppo, ancora assai frequente nella prassi statutaria della s.r.l. –, modellata sul calco dell'art. 2273 c.c., a norma del quale «la società [semplice] è tacitamente prorogata a tempo indeterminato quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali». Ma una cotal clausola, se calata nel contratto sociale di s.r.l., è giustamente ritenuta invalida da dottrina e giurisprudenza prevalenti (per essenziali riferimenti, v. G.A.M. Trimarchi, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Milanofiori Assago, 1ª rist., 2016, sub art. 2463, p. 177, testo e nota 77). La soluzione al problema va dunque reperita altrove che nell'art. 2273 c.c..

Con il che lo sguardo finisce inevitabilmente con l'appuntarsi sulle norme codicistiche che regolano «Scioglimento e liquidazione delle società di capitali»; e, in particolare, sugli articoli:

* 2484, secondo cui:

* 2486 c. 1, a' sensi del quale «al verificarsi di una causa di scioglimento (…), gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale»;

* 2487-ter c. 1, per il quale «la società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione, occorrendo previa eliminazione della causa di scioglimento, con deliberazione dell'assemblea presa con le maggioranze richieste per le modificazioni dell'atto costitutivo o dello statuto».

Alla luce di questo complesso di norme, ci si deve interrogare sulle seguenti questioni:

  1. se il decorso del termine di durata della società, in quanto causa del suo scioglimento, determini eo ipso l'avvio della fase liquidativa (problema della operatività c.d. «di diritto» delle cause di scioglimento della società di capitali);
  2. se la mancata pubblicità, da parte dell'organo amministrativo, della scadenza della società impedisca o meno l'operare della causa di scioglimento;
  3. se la società «scaduta» che intenda proseguire lo svolgimento «normale» della propria attività d'impresa e che, per non essersi nemmeno avveduta della scadenza, non ha dato corso, per il tramite dell'organo amministrativo, alla pubblicità di cui all'art. 2484 c. 3 c.c., debba previamente (ossia prima di prorogare la durata della società) revocare lo stato di liquidazione, dando così la stura: a) al diritto di exit dei soci dissenzienti (art. 2473 c. 1 c.c.); b) al jus opponendi dei creditori sociali, i quali, nei sessanta giorni susseguenti alla pubblicità commerciale della decisione di revoca, avendo oramai maturato un'aspettativa al soddisfacimento del proprio credito in sede liquidativa, potrebbero decidere di opporvisi, precludendo in tal guisa ai soci di perpetuare l'impresa collettiva (art. 2487-ter c. 2 c.c.).

Le tre questioni – che, con ogni evidenza, sono strettamente annodate – sono sintetizzabili nell'unico interrogativo intorno all'ambito temporale di applicazione della disciplina sullo scioglimento; intorno, cioè, alla individuazione del momento a partire dal quale (c.d. dies a quo) si applicano le regole recate dall'art. 2487-ter c.c..

Tale questione – come ha da tempo evidenziato la migliore dottrina – pone l'interprete di fronte alla seguente alternativa: «ritenere che la disposizione in commento operi non appena si sia verificata, nella sua obiettività, una causa di scioglimento ovvero dal momento in cui la causa di scioglimento è resa pubblica» (G. Niccolini, La «revoca dello stato di liquidazione» delle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, vol. 4, Milanofiori Assago, 2007, p. 36). In altre parole, l'alternativa è fra natura solo dichiarativa ovvero costitutiva della pubblicità ex art. 2484 c. 3 c.c..

Sul punto, la prevalente dottrina (G. Niccolini, op. cit., p. 37, e ivi, alla nota 8, un'ampia elencazione di autori, che, con varia sfumatura, aderiscono alla medesima tesi. Contra V. Buonocore, in Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, 7ª ed., Torino, 2006, p. 395), anche di stampo notarile (tra gli altri, F. Petrera, Rimozione della causa di scioglimento della società e l'efficacia della deliberazione di revoca, Studio n. 15-2008/I, approvato dalla Commissione studi d'impresa del Consiglio nazionale del notariato il 22 aprile 2008, p. 3. Contra, all'apparenza, Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, massima F.A.2., non motivata. Ma v. infra il più aggiornato, diverso, orientamento del medesimo Comitato), ritiene che la Riforma del diritto delle società – come reso evidente dal § 12 della relazione illustrativa del d.lgs. 2003 n. 6 e dalla stessa lettera dell'art. 2484 c. 3 c.c. – abbia inteso «tracciare, e individuare nell'adempimento pubblicitario dell'art. 2484, comma 3°, c.c., uno spartiacque fra il verificarsi della causa di scioglimento ed il suo prendere effetto» (G. Niccolini, ibidem); il che non significa ancora ricollegare alla pubblicazione dell'evento dissolutivo dell'ente un'efficacia costitutiva «per tutti» (c.d. natura omnimamente costitutiva della pubblicità della deliberazione dell'amministratore che accerta l'inverarsi dello scioglimento), dal momento che la costitutività della pubblicità «camerale» del fatto dissolutivo, a giudizio della più attenta dottrina, rileva soltanto sul piano esosocietario, cioè a dire nei confronti dei terzi in genere e dei creditori sociali in particolare; ed è perciò compatibile con una rilevanza immediata, a livello endocorporativo, dell'inverarsi della causa di scioglimento: «lo dimostra il fatto che l'attualizzarsi di un'ipotesi dissolutiva obbliga gli amministratori a conformare ad essa l'azione gestoria (art. 2486 c.c.), ed a conformarvisi immediatamente, senza cioè dovere, né potere, attendere che lo scioglimento sia proclamato nella pubblicità commerciale (come del resto appare del tutto logico, giacché diversamente gli amministratori finirebbero con l'essere arbitri dello scioglimento, o per meglio dire dei suoi effetti)» (G. Niccolini, op. cit., pp. 37-38).

Insomma, la pubblicità del fatto dissolutivo ha bensì efficacia costitutiva, ma la costitutività non può essere sopravvalutata fino al punto di ritenere che fintantoché gli amministratori non diano corso agli adempimenti ex art. 2484 c. 3 c.c. la causa di scioglimento sia tamquam non esset. Appunto perché gli amministratori hanno l'obbligo di accertarla e di darle pubblicità quanto prima. Di più: hanno l'obbligo di conformare la propria azione gestoria, specie nell'attività negoziale che ne costituisce l'estrinsecazione, allo scopo liquidativo oramai assurto al rango di oggetto sociale (c.d. gestione conservativa). Talché il ritardo nell'adempimento pubblicitario e/o   la gestione non conservativa dell'impresa li rende personalmente e solidalmente responsabili dei danni (eventualmente) occorsi alla società, ai soci e ai terzi (artt. 2485 c. 1 ultima parte e 2486 c. 2 c.c.)

Conclusione: prorogabilità della s.r.l. scaduta senza previe pubblicità della causa di scioglimento e revoca di un preteso stato di liquidazione

Stando così le cose, «qualora sia decorso il termine di durata della società ex art. 2484 numero 1) c.c. senza che tale circostanza sia stata accertata e dichiarata dagli amministratori al registro delle imprese, la società potrà modificare lo statuto prolungando il termine di durata già scaduto senza dovere prima revocare lo stato di liquidazione né dovere attendere il decorso dei termini di cui al comma 2 dell’art. 2487 ter c.c.» (Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, massima J.A.11); né – può soggiungersi – dover temere il recesso della (eventuale) minoranza dissenziente dal contratto sociale.

A quanto sopra consegue che – riprendendo l'esempio sopra accennato –, il Notaio Tizio Tizi, prima di addivenire alla stipulazione dell'atto di vendita tra la Beta s.a.s. di Caio e la Alfa s.r.l., dovrà suggerire all'organo amministrativo di quest'ultima di convocare senza indugio l'assemblea dei soci ovvero, se le circostanze lo impongano, di tenere, a strettissimo giro, un'assemblea dei soci in forma totalitaria, allo scopo di discutere e deliberare sulla proroga della società «scaduta» ed, eventualmente, sulla approvazione dell'operato degli amministratori in pendenza della causa (non pubblicizzata) di scioglimento della società, così dandolo per rato e valido e scongiurando una loro eventuale responsabilità (senz'altro contrattuale) avverso la società e i soci per violazione dell'art. 2486 c.c. (v. artt. 1398 e 1399 c.c.).

La deliberazione di proroga della durata della società – debitamente verbalizzata e sottoposta alla pubblicità commerciale ex artt. 2480 e 2436 c.c. – avrà l'effetto di:



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