Speciale Pubblicato il 16/11/2021

Tempo di lettura: 7 minuti

Scissione e abuso del diritto, due mondi (quasi) paralleli

di De Rosa Dott. Francesco

Due recenti risposte ad interpello confermano che per l’Agenzia delle entrate la scissione non è quasi mai elusiva.



Sono tantissimi ormai gli interpelli antiabuso pubblicati sul sito dell’Agenzia delle entrate, e tra questi un numero considerevole coinvolge la scissione.

Ciò invita a tirare in qualche modo le somme in merito al rapporto tra questa operazione straordinaria e la disciplina dell’abuso del diritto (art. 10-bis l.212/2000), consentendo di individuare delle linee di condotta abbastanza consolidate nelle risposte dell’Amministrazione finanziaria.

Paradossalmente, proprio l’ampia casistica dovrebbe frenare la presentazione di istanze in materia di scissione, ma questo non si verifica e denota, probabilmente, che un certo timore da parte dei contribuenti prevale sulle certezze che lo studio della casistica può dare.

Lo spunto per effettuare qualche riflessione sul tema è offerto da due recenti risposte ad interpello,

I casi oggetto di istanza

Nella risposta n.741 una persona fisica è titolare del 98,5% di una s.r.l. immobiliare, la quale a sua volta possiede il 99% di altre due società a responsabilità limitata (una delle quali è immobiliare); le quote di minoranza nelle tre società sono possedute da uno dei figli della stessa persona fisica. 

Con l’istanza di interpello si chiede all’Agenzia delle entrate di valutare se vi siano profili di abuso del diritto nella sequenza così articolata: 

Queste operazioni sarebbero necessarie allo scopo di impostare subito dopo il passaggio generazionale attraverso la donazione, da parte dell’istante - ormai socio unico di tutte e tre le società - della nuda proprietà dell’intero capitale sociale di ciascuna società rispettivamente ad ognuno dei tre figli.

Nella risposta n.746, invece, due fratelli sono soci al 50% ciascuno di due s.a.s. immobiliari.

Per separarsi, intendono effettuare due scissioni non proporzionali asimmetriche, da cui risulterebbero quattro s.a.s. unipersonali; la pluralità dei soci delle società risultanti dalle scissioni sarebbe poi ricostituita mediante donazione ai rispettivi figli di una quota di minoranza di ognuna di queste. 

Per l’Agenzia delle entrate in entrambi i casi non c’è vantaggio fiscale indebito e le operazioni prospettate sono considerate fisiologiche per il raggiungimento degli scopi prefissati.


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Scissioni non elusive

L’Agenzia delle entrate è solita rimarcare, nelle risposte alle istanze di interpello antiabuso, il carattere fisiologico (o meno) dell’operazione effettuata rispetto allo scopo prefissato.

In realtà, l’elemento decisivo ai fini di una contestazione in materia è piuttosto la presenza di un vantaggio fiscale indebito, ossia contrario alla ratio della disciplina di cui il contribuente si avvale.

Nei due casi sopra presentati, la scissione è certamente funzionale alla divisione delle società e permette di conseguire uno scopo coerente con la divisione stessa e con il regime di neutralità fiscale, che altro non è che la presa d’atto, in ambito tributario, della natura civilistica dell’operazione, meramente successoria e non realizzativa.

Proprio per come è strutturata, la scissione non è idonea ad agevolare una modifica del regime fiscale dei beni d’impresa, né quindi può comportare salti d’imposta o il conseguimento di altri vantaggi indebiti; perciò, difficilmente può essere lo strumento cardine di un abuso del diritto, anche se non si può escludere in assoluto che manovre elusive possano essere perpetrate ricorrendo anche ad una scissione.

Nel caso della risposta n.741, nel quale si decide semplicemente di ripartire in modo opportuno degli immobili attraverso la scissione in tre società, senza intaccare il regime di beni d’impresa di quegli stessi immobili (che saranno soggetti a tutti gli oneri fiscali, solitamente gravosi, qualora i soci intendessero assegnarseli), si nota proprio un utilizzo dell’operazione coerente con la sua natura e con la ratio della neutralità fiscale; neppure la successiva donazione della nuda proprietà può favorire alcun vantaggio indebito, poiché dal punto di vista tributario produce i medesimi effetti che avrebbe prodotto se fosse intervenuta prima della scissione stessa. La particolare sequenza “cessione di partecipazioni-fusione-scissione-donazione”, di cui la scissione è il passaggio nevralgico, è sicuramente peculiare ed elaborata, ma non elusiva perché in nessun momento è effettuato un utilizzo delle discipline fiscali strumentale al conseguimento di un vantaggio fiscale indebito.

Nel caso oggetto della risposta n.746 la linearità della (doppia) scissione è ancora più facile da cogliere, poiché non vi sono operazioni che la precedono, mentre la donazione, finalizzata alla ricostituzione della pluralità dei soci in una società di persone, non può comportare alcun vantaggio fiscale indebito, se solo si constata ancora una volta che sarebbe potuta intervenire anche prima delle scissioni effettuate, senza che le conseguenze fiscali potessero in alcun modo essere diverse.

Ci sarebbe, quindi, da chiedersi se esista un caso di scissione impiegata - da sola o in combinazione con altre operazioni - per ottenere uno scopo contrario alla sua natura, alla sua ratio o a qualche principio del sistema tributario. 


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Scissioni considerate elusive

Ad oggi l’Agenzia delle entrate, a questo proposito, ha nel mirino due casi: la scissione con successiva vendita delle partecipazioni, quando il sottostante non è un’azienda ma un singolo bene, e la scissione finalizzata al godimento di un bene (tipicamente un immobile). Si tratta in entrambi i casi di giudizi di elusività che non si condividono.

Quanto al primo, l’Agenzia delle entrate ha da tempo (ris. 97/E/2017) accettato che si possa effettuare una scissione per scorporare un’azienda e cederla “indirettamente”, trasferendo le partecipazioni della società che la possiede, mentre non sembra propensa a fare lo stesso quando lo scorporo riguardi un singolo bene (o comunque un insieme di beni inidoneo a configurare un’azienda). Si può osservare in senso critico, però, che la censura presuppone che la vendita diretta del bene, cui il contribuente avrebbe “dovuto” fare ricorso, possa essere surrogata dalla vendita della società che lo possiede, il che è però smentito dalla profonda differenza di effetti  giuridici e fiscali delle due operazioni. Non si può ravvisare, infatti, alcun vantaggio fiscale nell’aver preferito cedere partecipazioni sociali piuttosto che direttamente il singolo bene, posto che l’abuso del diritto può nascere solo dal confronto tra operazioni che conducono al medesimo risultato (a parte, ovviamente, il caso delle operazioni circolari).

Quanto al secondo caso, l’esempio che più di frequente si incontra nella pratica è quello di una società inattiva che possiede solo immobili destinati al godimento dei soci. Qui una scissione finalizzata alla divisione del patrimonio tra i soci sarebbe considerata certamente elusiva dall’Agenzia delle entrate, in quanto surrogatoria  dell’assegnazione dei beni ai soci. Non si può fare a meno di notare, però, che tra i soci ed i beni immobili resta anche dopo la scissione l’interposizione della società, con tutte le conseguenze giuridiche e fiscali che essa comporta; tra queste ultime, in particolare, l’applicazione della disciplina delle società di comodo (art. 30 l.724/94) e della disciplina dei beni in godimento ai soci (art. 2, comma 36-sexiesdecies, d.l. 138/2011), finalizzate a penalizzare proprio situazioni nelle quali la società è funzionale al godimento dei soci e non all’esercizio di un’attività commerciale. 

Non sembra, quindi, neppure in questo caso che il contribuente consegua un vantaggio fiscale, verificandosi casomai un utilizzo abusivo dello strumento societario, che però non dipende dalla scissione, ma preesiste. Perfino se la società di godimento dovesse nascere come costola di una società operativa si potrebbe dubitare dell’utilizzo elusivo della scissione, poiché nessun principio impedisce la separazione di un bene dal complesso aziendale, e la nascente società di godimento sarebbe costretta a fronteggiare le penalizzazioni che il sistema impone, restando soggetta a tutte le conseguenze (di natura evasiva, non elusiva) derivanti dall’eventuale mancato adeguamento alle sopra citate discipline che possono interessare le società di godimento.


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1 FILE ALLEGATO:
Risposta a interpello del 27.10.2021 n. 746

TAG: Operazioni Straordinarie