Speciale Pubblicato il 07/05/2020

Tempo di lettura: 6 minuti

Contratto Autonomo di garanzia ai tempi del Covid-19

di Istituto per il Governo Societario

Sospensioni dei contratti per emergenza sanitaria: il garante può rifiutarsi di pagare?



Articolo a cura dell' Avv. Alessandro Giorgetta - Studio Legale Ghia, membro del Comitato Scientifico dell' IGS

Il tema trattattato nel presente approfondimento riguarda la legittimità dell’escussione di un contratto autonomo di garanzia la cui obbligazione sottostante - quale, in ipotesi, l’esecuzione di un contratto di appalto o di fornitura – è “sospesa” per effetto delle misure restrittive adottate per fronteggiare l’emergenza da Covid-19.

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Misure restrittive anti Covid-19 e sospensione dei contratti

Le misure restrittive adottate per fronteggiare l’emergenza da Covid-19, hanno trovato riconoscimento normativo in Italia nell’art. 91 del Decreto “Cura Italia” (D.L. 17 marzo 2020, n. 18): “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi versamenti”.

Nel contratto autonomo di garanzia, la banca garante e quella eventualmente contro-garante non possono, per evitare l'adempimento della propria obbligazione, sollevare eccezioni tratte dal rapporto fondamentale; altrettanto vero è che sia l'una che l'altra possono eccepire, per rifiutare il pagamento, che il beneficiario agisca con dolo in quanto escute la garanzia pur non ricorrendo i presupposti per poterlo fare. Il dolo, che giustifica la relativa eccezione da parte del garante, ricorre sia nell'ipotesi in cui il rapporto principale sia stato regolarmente adempiuto, sia nei casi in cui emerga da prove "liquide" (e cioè oggettive o documentali o evidenti e manifeste) che il rapporto principale non sia stato adempiuto o per forza maggiore o per impossibilità sopravvenuta o per invalidità originaria del rapporto fondamentale. L’escussione della garanzia, e conseguentemente della controgaranzia, non può infatti ritenersi improntata a buona fede se esiste la prova certa che la mancata esecuzione dei contratti garantiti è dipesa da forza maggiore o da impossibilità anche solo temporanea o parziale, da veicolare a mezzo di specifica eccezione (exceptio doli).

Legittimità del rifiuto di pagamento del garante

Alla luce di ciò e nel contesto determinato dalla diffusione del contagio da Covid-19, l’escussione della garanzia apparirebbe in linea generale “abusiva” anzitutto per mancanza di inadempimento imputabile al debitore (art. 1218 c.c.), in tutti in casi in cui il pericolo di contagio (purché concreto, dunque da valutare a seconda dei casi) abbia impedito l’esecuzione della prestazione oggetto dell’obbligazione sottostante (l’obbligazione “garantita”): questo già sulla base degli istituti della forza maggiore e dell’impossibilità sopravvenuta, anche se temporanea o parziale, di cui agli artt. 1256 e 1258 c.c.

Buona fede e correttezza nell'esecuzione dei contratti

Non secondariamente, una condotta di tal genere (escussione abusiva) si porrebbe in collisione con i principi di autoresponsabilità e proporizionalità e quindi delle regole di buona fede e correttezza (che includono tali principi) ex artt. 1175 e 1375 c.c.. E’ indubbia la rilevanza primaria assunta dalle regole di condotta de quibus nella materia dei contratti e delle obbligazioni, al punto da indurre la giurisprudenza al riconoscimento di un principio generale di buona fede, in grado di assurgere a valore fondante l’intero ordinamento. In particolare, come statuito dalla Suprema Corte nella vasta casistica avente ad oggetto il perimetro di applicazione del divieto di abuso del diritto, il comportamento del titolare di una situazione creditoria o potestativa contrastante con in principi di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c.è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della medesima situazione soggettiva” (ex plurimis, cfr. ad es. Cassazione civile, sez. lav., 05/05/2010; nello stesso senso, più di recente v. Cassazione civile, sez. lav., 19/04/2017; cfr. altresì Cass. n. 9924/2009; Cass., nn. 13167/2009, 13549/2008, 13370/2003, 8106/2001, 5500/1998, 11209/1997). Sulla base dei medesimi principi è stato, inoltre, stabilito che il divieto di abuso del diritto diviene anche abuso del processo, inteso quale esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere della parte di agire in giudizio (Consiglio di Stato, sez. IV, n°1209 del 2.3.2012) e costituisce uno dei cardini del giusto processo (v. su tutte Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726, nella parte in cui offre una lettura dell’art. 88 c.p.c. “nel senso del suo allineamento al duplice obiettivo della ‘ragionevolezza della durata’ del procedimento e della ‘giustezza’ del processo, inteso come risultato finale…che giusto non potrebbe essere ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell’azione in forme eccedenti o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale…”; cui adde Cass. 11 dicembre 2007, n. 25831, e numerose altre).

Al riguardo si deve inoltre aggiungere che la norma citata in apertura (l’art. 91 D.L. n. 18/2020), nel prevedere che il rispetto delle misure di contenimento alla diffusione del c.d. Coronovirus è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore”, abbia inteso “dire” qualcosa in più rispetto a quanto già disposto dagli artt. 1256 e 1258 c.c., in particolare ove fa esplicita menzione dell’art. 1223 c.c., come noto disciplinante il nesso causale (“Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.”) e così configurando una specifica "esimente" anche in rapporto ad eventi esterni, quali, per l’appunto, il rispetto delle misure normative (c.d. “factum principis”) di contenimento da contagio, impedimento che a sua volta non può che produrre un effetto a catena di tipo causale su quei rapporti (nella fattispecie: garanzia) che sono ad essi collegati.

La disciplina comunitaria

I principi qui in esame devono essere, infine, rapportati con le fonti comunitarie. Da tempo, infatti, la giurisprudenza della Suprema Corte, nella sua massima assise, ha avuto occasione di paralizzare con la sanzione dell’inammissibilità dell’azione proprio la pretesa formulata da colui che agisca in modo abusivoil cui divieto assume, ormai, rilevanza costituzionale ex art. 54 (Divieto dell’abuso di diritto) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.” (Cassazione civile, Sez. Un., 12/12/2014). È stato infatti grazie al richiamo agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, direttamente applicabili in Italia per effetto del trattato di Lisbona e del nuovo testo dell’art. 6, par. 2, del Trattato sull'Unione Europea, e grazie all’opera compiuta dalla Corte di Giustizia nello spostare progressivamente l’accen­to dal diritto al processo al diritto ad un rimedio adeguato, che il diritto contemplato dall’art. 24 Cost. ha assunto una connotazione più ampia, sì che oggi è possibile affermare che la correlazione tra diritto sostanziale e processo rappresenta “un punto ormai fermo nelle tradizioni di civil e di common law” (Comoglio, I modelli di garanzia costituzionale del processo, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 2011, p. 675). Come d’altra parte è risaputo, la già menzionata Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“CEDU”) possiede il rango di norma comunitaria, con conseguente prevalenza sul diritto nazionale in caso di contrasto, come espressamente statuito dalla Corte Costituzionale, la quale ha riconosciuto alle disposizioni CEDU il valore di “norme interposte”, che integrano il parametro costituzionale di cui all'art. 117, c. 1, Cost. nella parte in cui lo stesso impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli “obblighi internazionali”  (il riferimento è alle note pronunce della Corte costituzionale del 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, in Foro it., 2008, I, 40 ss).



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