ti allego anche questo articolo....
"Domanda:
La società ABC soc. coop. a r.l. con esercizio sociale 01/08-31/07 è titolare di crediti verso l’Erario per ritenute d’acconto derivanti da interessi attivi e contributi ministeriali, subite negli esercizi 1997/98 e 1998/99 che, a causa di dimenticanza, non sono state riportate nelle dichiarazioni dei redditi relative a quegli anni. Nel momento in cui è stato rinvenuto l’errore, gli amministratori hanno deciso di chiedere ugualmente il riconoscimento di tali crediti riportandoli nella dichiarazione UNICO 2000 relativa all’esercizio 1999/2000 ed utilizzandoli per compensare le imposte dovute per quell’esercizio e per il successivo, con la consapevolezza che avrebbero corso il rischio di non vedersi riconosciuti tali crediti per non averli fatti valere nelle dichiarazioni relative agli esercizi di competenza. In effetti l’Agenzia delle entrate si è attivata attraverso l’emissione di un avviso bonario che chiede la corresponsione delle somme indebitamente portate a credito nonché della relativa sanzione ridotta e degli interessi.
La scrivente chiede: esiste la possibilità di vedersi riconosciuti tali crediti instaurando un contenzioso con l’amministrazione finanziaria e, in caso affermativo, ci sono procedimenti consolidati ai quali fare riferimento?
Risposta:
E’ preliminarmente necessario sottolineare che il comportamento dell’Agenzia delle entrate deriva in via principale (se non esclusiva) da problemi di carattere informatico che non consentono di considerare risultanze differenti da quelle derivanti dalle dichiarazioni liquidate. Per tale motivazione principale si ritiene che l’amministrazione sia un interlocutore “sordo” alla definizione in via breve della questione.
Per logica, infatti, si è portati a sostenere che qualora un credito sia effettivamente spettante al contribuente (come può essere legittimamente comprovato nel caso di specie mediante produzione delle certificazioni delle ritenute subite nei due esercizi in questione) non vi sia ragione perché l’amministrazione opponga un diniego.
Questione differente, invece, è quella relativa alle modalità con cui il contribuente può esercitare il suo diritto al credito, inserendosi nelle procedure standardizzate dell’amministrazione che richiedono solitamente:
· che il credito sia risultante da una dichiarazione, oppure
· che lo stesso sia reclamato mediante apposite istanze di rimborso contemplate dagli articoli 37 e 38 del DPR 602/73.
Il problema fondamentale che si deve risolvere è, in buona sostanza, quello di poter dimostrare che l’amministrazione è venuta a conoscenza dell’esistenza del credito vantato dal contribuente; qualora lo stesso non sia contestato o disconosciuto deve dunque ritenersi che lo stesso sia liberamente utilizzabile, si a pure nel rispetto dei meccanismi imposti. E’ da notare infatti che l’art.41 del DPR 602/73 prevede espressamente una procedura di rimborso d’ufficio da esperirsi laddove, tra le altre ipotesi, l’importo delle ritenute d’acconto sia superiore all’imposta liquidata.
Tale norma, purtroppo, non essendo stata aggiornata in base alle novità normative che consentono di non allegare alla dichiarazione le certificazioni dei sostituti, fa ancora riferimento alle sole eccedenze di ritenute riscontrabili dai documenti allegati alla dichiarazione (contenuto letterale cui presumibilmente si richiamano i funzionari per giustificare il proprio operato, visto che comunque la certezza della presenza delle ritenute sarebbe tranquillamente acquisibile d’ufficio mediante l’incrocio dei modelli 770 e del codice fiscale del sostituito).
Ma non dobbiamo dimenticare che, per le dichiarazioni presentate a decorrere dal 01.01.1999, l’amministrazione finanziaria è tenuta ad operare una attività di controllo formale sulle stesse ai sensi dell’art.36ter del DPR 600/73; la circolare n.68 del 16.07.2001 afferma che “il controllo formale è finalizzato a verificare la conformità dei dati esposti in dichiarazione anche a quelli desunti dal contenuto delle dichiarazioni presentate dai sostituti di imposta e forniti da enti previdenziali ed assistenziali, banche ed imprese assicuratrici ed alla conseguente richiesta di chiarimenti e documenti nei casi di riscontrata difformità tra i dati stessi”.
Ma volendo leggere in via estensiva anche il precedente articolo 36/bis in tema di liquidazione delle imposte (anche nel testo in vigore per i controlli ante 01.01.1999), non si può non rilevare come il comma 2 dello stesso articolo consente analoga correzione quando stabilisce che, sulla base dei dati desumibili dalle dichiarazioni e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria, l’amministrazione deve provvedere alla correzione degli errori materiali e di calcolo commessi dal contribuente
Chiarito il contenuto di tale norma, rimane da riscontrare, e la questione non è da poco, se tale azione sia diretta unicamente a rilevare situazioni a danno del contribuente, oppure se dalla stessa possano anche emergere ipotetici benefici (in termini di carico fiscale) per il soggetto dichiarante.
Non solo la logica, ma anche la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza più significativa vanno nel senso di riconoscere in capo all’ente accertatore il potere/dovere di rilevare ogni difformità della dichiarazione rispetto alla norma vigente, indipendentemente dal fatto che da ciò possano derivare conseguenze a favore o a carico delle parti.
La CTC, sezione IX, con sentenza n.6423 del 30.09.1991 ha stabilito il giusto principio secondo cui l’ufficio ha l’onere di provvedere alla correzione (e anche di disporre il rimborso delle maggiori somme versate rispetto a quelle liquidate) anche nel caso in cui la differenza sia derivante da un errore materiale del contribuente in sede di compilazione della dichiarazione, a nulla rilevando il fatto che per sanare tale fatto sia comunque esperibile la richiesta di rimborso ai sensi dell’articolo 38 del DPR 602/73.
E’ sicuramente da sottolineare come, in tali casi, incomberà in capo al contribuente stesso l’onere di produrre documenti e chiarimenti a giustificazione della sua posizione per “favorire” il provvedimento dell’ufficio.
Stabilito che esiste il potere/dovere di rettifica, possiamo anche constatare come, ai sensi delle nuove regole previste per le dichiarazioni presentate dopo il 01.01.1999, le eventuali eccedenze a favore del contribuente rilevate dai controlli possono essere spese dal contribuente in compensazione oppure inserite nella dichiarazione nel quadro RX.
Pur tuttavia non si può tacere che il comportamento seguito dalla cooperativa è stato caratterizzato da una forzatura di procedimento, in quanto è mancata nella fattispecie la fase di accertamento, in contraddittorio con l’ufficio, del maggior credito per ritenute in rapporto alle dichiarazioni già presentate ed, in un certo senso, da modificare.
L’unica arma da spendere in contenzioso sarebbe, allora, persuadere il giudice della reale esistenza del credito in questione dando dimostrazione che, in sede di contestazione del riporto, il contribuente si sia attivato per dare prova all’ufficio dell’errore in cui sia incorso consentendo quindi agli organi accertatori di operare, sia pure in via differita, quell’azione di incrocio di dati che qualifica il più volte richiamato potere/dovere di controllo sulle dichiarazioni. E’ da ricordare infatti che, nel caso in questione, non si tratta di rilevare elementi completamente sconosciuti (quali potrebbero essere ad esempio oneri non dedotti) bensì circostanze di fatto direttamente riscontrabili tramite l’archivio informatico dell’amministrazione.
Il contrario parere del fisco, su questione analoga, è contenuto nella CM 98 del 17.05.2000 paragrafo 8.1.2; qui si afferma che, per far valere circostanze favorevoli non indicate nelle dichiarazioni già presentate, è necessario spedire una nuova dichiarazione anche oltre i 90 giorni rispetto alla data di scadenza originaria, esponendosi però alla applicazione delle sanzioni per omessa dichiarazione e potendo richiedere gli eventuali crediti emergenti solo a rimborso e non in compensazione.
Un ulteriore appiglio su cui fare leva è, a parere di chi scrive, rinvenibile nelle disposizioni contenute nella legge 212 del 27.07.2000 (c.d. Statuto del Contribuente) e precisamente:
· nell’articolo 6 comma 2, in base al quale l’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito (e non si vede come le dichiarazioni presentate per i due periodi di imposta non possano integrarsi con l’inserimento delle ritenute originariamente omesse, stante che nessun danno è derivato a carico dell’amministrazione);
· nell’articolo 8 comma 1, in base al quale si stabilisce che l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione (sebbene manchino ancora oggi i provvedimenti attuativi previsti dal comma 6, non è certo lecito far gravare sul cittadino i ritardi ingiustificati dell’amministrazione, che è parte in causa di un rapporto che deve essere paritetico); in questo senso si tratterebbe allora di individuare con certezza la presenza del credito pregresso da spendere come moneta di compensazione, anche se rimarrebbero dovute le sanzioni.
Una ultima riflessione deve essere allora effettuata in merito alla possibilità di seguire un’altra via (molto lunga e che non evita le sanzioni richieste dal provvedimento) per ottenere il recupero dei crediti in questione, e cioè la richiesta di rimborso che potrebbe costituire creazione di un credito da spendere in compensazione come sopra accennato.
E’ ormai dato per certo che la dichiarazione dei redditi deve considerarsi come dichiarazione di scienza e non di volontà, e come tale è liberamente rettificabile dal contribuente; l’annosa questione su cui si discute da moltissimo tempo verte sulla possibilità di far valere, oltre il termine di presentazione della dichiarazione stessa, fatti non manifestati e favorevoli al contribuente stesso anche se già esistenti e noti alla data della presentazione della originaria dichiarazione. Di fatto, sia pure con decorrenza 2002, il ministero ha già risolto normativamente la questione andando a modificare il testo del DPR 322/98 per mezzo del DPR 435 del 7 dicembre 2001; tuttavia non è stato ancora chiarito se sia possibile modificare a favore del contribuente una dichiarazione anche dopo che si decorso il temine di presentazione della dichiarazione per l’anno successivo.
In via generale, nonostante i dubbi di taluni in merito alla possibilità di richiedere a rimborso ex art.38 DPR 602/73 un credito non emergente da dichiarazione, si ritiene di aderire alla tesi derivante dalla sentenza della Cassazione Civile, sezione I, n.3080 del 09.04.1997 che afferma: “la citata posizione dell’art.38 consente il rimborso, non solo in caso di errori materiali, ma anche in qualsiasi ipotesi di inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento; poco importa se il contribuente avanzi la propria richiesta qualificando errore materiale una situazione che tale a rigore non è, volta che, comunque, siano con chiarezza esposti i fatti sui quali la richiesta si fonda e da essi risulti il carattere indebito del pagamento operato dal contribuente a titolo di imposta……….. ed è ormai principio acquisito che il rimedio previsto dal menzionato art.38 opera in maniera indifferenziata in tutti i casi di ripetibilità del pagamento, a partire dal mero errore materiale, sino all’ipotesi dell’inesistenza dell’obbligazione, tanto se l’errore si riferisca al versamento come tale quanto in caso di errore sull’an o sul quantum del tributo………il rigoroso regime legale che regola il modo ed il tempo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi non costituisce argomento decisivo al fine di escludere la ripetibilità di imposte versate in base ad una dichiarazione errata, ancorché l’errore non sia immediatamente desumibile dal testo della dichiarazione stessa” .
Pertanto, in chiusura dell’analisi di tutti gli aspetti della questione, si consigliano i seguenti comportamenti:
· presentare formale istanza di annullamento dell’atto in autotutela all’ufficio finanziario, richiedendo il riconoscimento del credito pregresso come procedimento di liquidazione o controllo formale (probabilmente tale fattispecie può rientrare in entrambe le previsioni) delle due dichiarazioni che non riportavano a scomputo le ritenute invece spettanti;
· invocare le sopracitate disposizioni dello statuto del contribuente sia pure con tutti i dubbi che si nutrono sulla reale efficacia di uno strumento che appare molto di facciata e poco di contenuto;
· richiedere, in caso di diniego, un provvedimento motivato da parte dell’ufficio che spesso si limita a rimanere nel silenzio.
In caso di infruttuosità di tale azione di sensibilizzazione nei confronti dell’ufficio non rimarrebbe che la via del contenzioso con esiti sicuramente non garantiti; non si sono trovati infatti pronunciamenti significativi al riguardo che possano essere richiamati.
E’ comunque utile ricordare come il giudice tributario sia sicuramente più sensibile alle questioni di diritto che non a meri problemi di procedura (basti ricordare le numerose pronunce favorevoli ai contribuenti che non riportavano il credito IVA spettante nella dichiarazione dell’anno successivo); la situazione dovrebbe andare via via migliorando tenuto conto “dell’assimilazione” dei concetti cardine dello Statuto del contribuente, quali il presunto comportamento in buona fede del contribuente, il rapporto paritario tra le parti ed il concetto che nessuna sanzione può essere fatta gravare in capo al contribuente in caso di reali difficoltà interpretative della norma (circostanza che pare non potersi negare in merito alla questione in oggetto). "
ciao
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