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Illegittimo da parte dell'Inps il diniego della Naspi per un mero errore formale

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L’Inps non può rigettare una domanda di Naspi solo per un mero errore

Sentenza

Trib. Pescara 12 febbraio 2025, n. 113

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

(artt.132 comma 2 n.4, 429 c.p.c. e 118 disp.att.c.p.c.)

Con ricorso ex art.442 c.p.c. depositato in data 26.7.2024 …. conveniva in giudizio INPS domandando il riconoscimento del diritto alla percezione dei ratei maturati e non riscossi dell’indennità di disoccupazione NASPI relativa alla domanda in modalità online prot. n. INPS ….., presentata in data …, rigettata per aver indicato una data di cessazione del rapporto di lavoro errata.

L’INPS si costituiva in giudizio resistendo alla domanda.

Istruita documentalmente, la controversia, all’esito della discussione mediante trattazione scritta con scambio e deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, viene decisa con Sentenza con motivazione contestuale.


Il ricorso è fondato, in quanto l’indicazione, quale data di cessazione del rapporto di lavoro, di una data (1.5.2023) alla quale non era ancora cessato il rapporto di lavoro, era frutto di un evidente mero errore materiale, immediatamente evincibile dall’INPS dalla consultazione dei flussi telematici sui rapporti di lavoro.

Ed infatti lo stesso INPS si era immediatamente avveduto dell’errore, all’esito delle verifiche effettuate durante l’istruzione del procedimento amministrativo, se in data 4.3.2024 aveva tempestivamente rigettato la domanda amministrativa (proposta in data 8.2.2024) adducendo la motivazione: “La S.V. non ha cessato il rapporto di lavoro”; e se aveva poi rigettato il successivo ricorso amministrativo con Delibera in data 27.6.2024 del Comitato provinciale INPS per la motivazione che “In data 08.02.2024 è stata presentata domanda Naspi dichiarando data cessazione attività 30.04.2023. A seguito della verifica procedurale di tale dichiarazione, verificato che a tale data il rapporto di lavoro era ancora in essere (e tra l’altro sarebbe anche decaduta la domanda per il decorso dei 68 giorni) (…)”.

Del resto il rapporto di lavoro era in domanda amministrativa univocamente individuato con la indicazione del datore di lavoro “…” e non poteva dunque essere confuso con altri (eventuali) rapporti di lavoro.

Inoltre, la domanda amministrativa era stata proposta, in data 8.2.2024, entro 8 giorni successivi alla corretta data di cessazione, e dunque entro il termine di decadenza previsto dall’art.6 (Domanda e decorrenza della prestazione) del D.Lgs.22/2015 (recante Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), che dispone, con riferimento alla prestazione istituita dall’art.1 (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego – NASpI), che “1. La domanda di NASpI e’ presentata all’INPS in via telematica, entro il termine di decadenza di sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. 2. La NASpI spetta a decorrere dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o, qualora la domanda sia presentata successivamente a tale data, dal primo giorno successivo alla data di presentazione della domanda”.

L’INPS dunque, anziché rigettare formalisticamente la domanda pur nella consapevolezza del mero errore materiale, si sarebbe dovuto attivare per richiedere all’istante la comunicazione della data esatta, ovvero per avere conferma dalla parte che la data corretta era quella (31.1.2024) risultante all’INPS dalla consultazione dei flussi telematici, o addirittura considerare per buona tale data univocamente ricavabile dalle banche dati, ovvero, comunque, accogliere la domanda in sede di ricorso amministrativo, considerato che la data 31.1.2024 era stata poi dalla ricorrente espressamente comunicata nel ricorso al Comitato provinciale in data 8.4.2024.

Del resto anche nella presente sede giudiziale l’INPS ha riconosciuto il mero errore materiale (che deve ritenersi pertanto del tutto pacifico tra le parti) affermando che “(…) il rapporto di lavoro indicato in domanda, a seguito di proroghe, era cessato il 31 gennaio 2024, come dichiarato anche in ricorso”, “In realtà la data di cessazione giusta era quella del “dal 31.01.2024”, essendo stato stipulato il primo contratto in data 04.10.2022 con scadenza al 31.10.2022, ed essendo, poi, intervenute successive proroghe del medesimo rapporto di lavoro, senza soluzione di continuità, rispettivamente, al 31.01.2023 ed al 31.01.2024.” (memoria INPS, pag.2).


Deve dunque richiamarsi il generale “(…) obbligo dell’amministrazione di avvertire l’interessato dell’incompletezza o irregolarità della documentazione, l’inadempimento del quale è sanzionato conferendo piena efficacia alla domanda irregolare” (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 317 del 16/01/1996, Rv. 495443 – 01, che proprio in una controversia previdenziale contro l’INPS ha affermato che la domanda amministrativa non corredata dalla documentazione richiesta dalla legge per dimostrare il possesso del requisiti necessari per l’insorgenza del diritto alla prestazione resta un atto incompleto, non idoneo come tale a dare impulso al procedimento di liquidazione, ma ciò solo “ove non si provveda alla sua regolarizzazione nell’ambito del medesimo procedimento amministrativo”; conforme, Tribunale Cosenza sez. lav., 23/01/2023, (ud. 23/01/2023, dep. 23/01/2023), n.77, che ha ritenuto che “(…) sarebbe stato onere dell’INPS quello di procedere ad una sorta di “soccorso istruttorio” chiedendo al ricorrente – in sede amministrativa – la documentazione mancante ma, per come evincibile dai provvedimenti in atti, l’INPS non si è attivato in tal senso con conseguente efficacia della domanda amministrativa ed ammissibilità del presente ricorso”).

Tale obbligo è conforme peraltro ai doveri generali buona fede (oggettiva) e correttezza i quali, oltre che integrare principi generali di diritto comune nei rapporti privatistici (cfr. artt.1175 e 1375 c.c.), devono improntare anche i rapporti tra amministrazione e cittadini, come ora espressamente previsto anche dall’art.1 (Principi generali dell’attività amministrativa) L.241/1990, che al comma 2-bis (aggiunto dall’art.12, comma 1, lettera 0a), del D.L.76/2020 conv. In L.120/2020) dispone che “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.

Del resto, conforme a tali principi generali (da ritenersi come detto applicabili anche al contenzioso previdenziale) e, per altro verso, in linea con il fondamentale principio costituzionale di solidarietà (art.2 Cost.) risulta pure il riconoscimento legislativo dell’istituto del c.d. soccorso istruttorio, nell’art.6 (Compiti del responsabile del procedimento) comma 1 lett.b) L.241/1990, che dispone che “1. Il responsabile del procedimento: a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento; b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali; c) (…)”.

Ulteriore derivazione dai principi generali sopra richiamati può ritenersi anche l’orientamento, da ultimo affermatosi in seno S.C., pur relativamente al tema (qui non in rilievo) della improponibilità della domanda, che ha inteso negare rilievo a formalistiche letture delle domande amministrative: “In tema di prestazioni previdenziali ed assistenziali, al fine di integrare il requisito della previa presentazione della domanda non è necessaria la formalistica compilazione dei moduli predisposti dall’INPS o l’uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che la domanda consenta di individuare la prestazione richiesta affinché la procedura anche amministrativa si svolga regolarmente. Ne consegue che non costituisce requisito imprescindibile della domanda amministrativa barrare la casella che, nel modulo, individua le condizioni sanitarie la cui sussistenza è necessaria per il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento, non potendo l’istituto previdenziale introdurre nuove cause di improcedibilità ovvero di improponibilità in materia che deve ritenersi coperta da riserva di legge assoluta ex art. 111 Cost.” (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 14412 del 27/05/2019, Rv. 653976; conforme, Cassazione, Sez. L – , Ordinanza n. 25804 del 14/10/2019, Rv. 655392 – 01).


Conseguono le determinazioni di cui al dispositivo (nella incontestata sussistenza degli altri presupposti della prestazione richiesta)

Le spese seguono la soccombenza.

Q. M.

Il TRIBUNALE DI PESCARA – GIUDICE DEL LAVORO – così provvede:

condanna l’INPS a corrispondere, in favore di … nei limiti di legge, la NASpI-Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego, con decorrenza dall’ottavo giorno successivo alla cessazione (in data 31.1.2024) del rapporto di lavoro, oltre gli interessi legali e/o il maggior danno da svalutazione monetaria da liquidarsi con decorrenza secondo i termini previsti nel DPR n. 698/1994, nei limiti risultanti dalla sentenza della Corte Cost. n. 156/91 e dall’art. 16 L. n. 412/1991;

– condanna INPS a rifondere a … le spese del giudizio che liquida in complessivi €1.800,00, oltre rimborso spese forfetario, IVA e CAP come per legge; il tutto da distrarsi in favore del procuratore antistatario avv. T. M.
 
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