Speciale Pubblicato il 18/03/2019

Tempo di lettura: 5 minuti

Indebite compensazioni orizzontali o verticali: reato sempre configurabile

di Dott. Giuseppe Di Franco

Le indebite compensazioni di imposte configurano sempre l'ipotesi di reato, sia che la compensazione avvenga verticale o in F24 orizzontale



La condotta illecita di “indebite compensazioni” configura un delitto sia nel caso di compensazione “verticale” (quindi quando sono interessati crediti e debiti afferenti la medesima imposta), sia nel caso di compensazione “orizzontale” (ossia riguardante crediti e debiti di imposta di natura diversa).

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Reato di indebite compensazioni

Prima di accennare al delitto di indebite compensazioni (trattato nel mio ebook “Mancato pagamento delle imposte e conseguenze penali”), può essere utile richiamare sinteticamente il particolare meccanismo fiscale delle “compensazioni”.

Per effetto dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 (norma con la quale il legislatore fiscale ha inteso razionalizzare e semplificare il sistema dei versamenti diretti delle imposte e dei contributi) i contribuenti possono utilizzare in compensazione i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche con i debiti delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali.

La compensazione può essere “orizzontale” o “verticale”: la prima si ha quando vengono compensati tributi diversi (ad esempio quando si utilizza un credito IVA per compensare un debito IRES o IRPEF), mentre la seconda si riferisce al caso in cui venga compensato un debito di imposta con il credito relativo alla stessa imposta.

Se però la compensazione viene effettuata con crediti non spettanti o inesistenti, si rientra in una condotta sanzionabile in capo al contribuente. La sanzione sarà di tipo amministrativo o di tipo penale a seconda dell’importo annuo delle somme dovute all’Erario e non versate per mezzo di compensazioni indebite.

Difatti nel caso di utilizzo in compensazione di crediti “inesistenti” per il pagamento delle somme dovute sotto il limite dei 50.000 euro annui, l’art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471/1997, come modificato dall’art. 15, comma 1, lett. o), del D.Lgs. n. 158/2015 prevede l’applicazione di una sanzione dal 100% al 200% dei crediti indebitamente compensati.

Sopra tale limite, invece, la condotta illecita del il contribuente configura un delitto previsto e punito nel nostro ordinamento dall’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 (“Indebita compensazione”).

La gravità della condotta, ritenuta dal legislatore differente a seconda del tipo di credito indebitamente utilizzato (non spettante o inesistente), determina una maggiore punizione come espressamente previsto dalla norma:

“1. E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.

2. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.”

Configurabilità del reato

Recentemente la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della configurabilità del delitto di indebite compensazioni nella sentenza n. 8705 del 28 febbraio 2019.

L’occasione è stata il ricorso presentato da un destinatario di sequestri preventivi finalizzati alla confisca di denaro, beni mobili e immobili per contestazioni di indebite contestazioni imputate ad una serie di società cooperative.

Nella difesa presentata per il ricorso in argomento, una delle censure mirava a ritenere insussistente il reato riferito all’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 in quanto lo stesso, come ritenuto dai legali del contribuente, prevederebbe il ricorso alla sanzione penale solo  con  riferimento  alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto e non anche ad altre tipologie  di tributi e contributi, poiché non tutti gli importi oggetto di  contestazione sarebbero dovuti a titolo di imposta.

Di tutt’altro avviso il Supremo Consesso, che ribadendo quanto affermato in precedenti arresti ha ricordato che: “Il reato di  indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti di cui al D.Lgs. n.  74 del 2000, art. 10-quater è  configurabile  sia  nel  caso  di  compensazione verticale  (ossia  riguardante  crediti  e  debiti  afferenti  la   medesima imposta), sia  in  caso  di  compensazione  orizzontale  (ossia  riguardante crediti e debiti di imposta di natura diversa), osservando come il D.Lgs.  9 luglio 1997, n. 241, art. 17, richiamato  dalla  fattispecie  penale,  abbia ampliato le ipotesi di compensazione già previste  dalle  norme  tributarie, estendendo la facoltà di compensazione anche a crediti e  debiti  di  natura diversa nonché alle somme dovute agli enti previdenziali”.

In tal senso la Corte ha inteso fornire un’ulteriore specificazione: “Come  chiarito  dalla  dottrina,  l'applicabilità  della  sanzione  penale prevista dalla  disposizione  in  esame  non  è  condizionata  dalla  natura verticale  o  orizzontale  della  compensazione,  bensì  dalla  circostanza, ritenuta determinante, che venga opposta nel modello unico, ossia  nel  c.d. modello F24, che viene presentato in occasione della dichiarazione unica  ai fini delle imposte sul reddito, dell'IVA e dell'IRAP  e  ciò  perché  è  con questo modello che si corrispondono le "somme dovute" ai  sensi  del  citato D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17,  richiamato  dall'art.  10-quater, con  la conseguenza che la natura di  credito  inesistente  o  non  spettante  rende irrilevante l'imputazione effettuata dal  contribuente  nella  dichiarazione per  operare  l'indebita  compensazione,  in  quanto  la   norma   riferisce genericamente all'utilizzo in compensazione  di  "crediti  non  spettanti  o inesistenti", senza  alcuna  specificazione  in  ordine  alla  omogeneità  o disomogeneità della compensazione. Il disvalore del fatto, osserva sempre la citata dottrina, è dato dall'omesso versamento delle somme dovute,  commesso mediante una falsa compensazione e  non  dalla  natura  della  compensazione utilizzata per eludere il pagamento di quanto dovuto”.

Per la Cassazione, quindi, la sanzione penale prevista per il reato di indebite compensazioni (ritenuto da autorevole dottrina[1] “una fra le più insidiose e pregiudizievoli forme di comportamento fraudolento tipiche della riscossione”) si configura con la redazione del modello F24 di fatto mendace (in quanto supporta il mancato versamento del tributo dovuto), indifferentemente sia nei casi di compensazione verticale, sia in quelli di compensazione orizzontale.



[1] Cfr. “I delitti tributari: profili sostanziali e processuali” di S. Gennai, A. Traversi – Ed. Giuffré 2011



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