Speciale Pubblicato il 02/01/2018

Tempo di lettura: 13 minuti

Farmacie private dal 2017 apertura alle società di capitali

di Carlini Dott. Claudio

Dopo le modifiche della legge per il mercato e concorrenza le farmacie private possono esercitare per mezzo di una società di capitali



La legge 124/2017 «legge annuale per il mercato e la concorrenza» ha apportato numerose innovazioni al settore della distribuzione farmaceutica i cui punti salienti possono così essere sintetizzati:

L'articolo continua dopo la pubblicità

Ti potrebbe interessare l'abbonamento alla Banca dati di Fisco e Tasse ricca di utilità per la tua attività quotidiana

La corporate governance ideale

La volontà di chi scrive è quella di fornire un piccolo contributo agli operatori economici, con particolare riferimento ai farmacisti, che a seguito dell’entrata in vigore della nuova legge sulla concorrenza si sono ritrovati di fronte a molte novità ed eventuali opportunità da poter cogliere; un piccolo contributo utile, si spera, anche da supporto per eventuali spiegazioni da porre ai propri professionisti di fiducia “dottori commercialisti” a cui si raccomanda di rivolgersi prima di compiere una qualsivoglia operazione economico-finanziaria.

Il linguaggio che dunque verrà adottato d’ora innanzi tenderà, per quanto sia possibile, ad essere il più semplice e intuitivo.

Con il termine corporate governance è possibile definire l’assetto direzionale, di proprietà, di controllo e di amministrazione di un’azienda o anche «il complesso delle regole e dei meccanismi attraverso le quali le aziende sono dirette e controllate» (Cadbury Code, 1992).

La novità che probabilmente ha suscitato maggior stupore con l’entrata in vigore della legge 124/2017 è stata di certo l’opportunità data alle società di capitali (s.r.l., s.p.a, s.a.p.a.) di essere titolari dell'esercizio della farmacia privata che sino ad ora veniva preclusa a tali enti di diritto dotati di personalità giuridica e perfetta autonomia patrimoniale.

Le leggi che regolavano la titolarità delle farmacie private ammettevano infatti esclusivamente le forme della ditta individuale, società di persone, società cooperativa, impresa familiare o associazione in partecipazione (ex art. 7 L. 362/91, art. 2549 c.c.).

Capire se dunque la propria farmacia privata possa avere dei benefici “trasformandola” ad esempio in s.r.l. rappresenta vexata quaestio.

Per giungere a delle conclusioni occorre tuttavia, a parere di chi scrive, partire da quelli che sono i “sistemi contabili” vigenti nell’ordinamento italiano, ovvero il sistema della contabilità semplificata e quello della contabilità ordinaria.

Farmacie private: contabilità semplificata o contabilità ordinaria

La farmacia è un esercizio commerciale come tutti gli altri e magari per caratteristiche fiscali, la vasta gamma di prodotti offerti al pubblico ed organizzazione interna, potremmo accostarla al settore dei “supermarket” posto che per entrambi il legislatore ha previsto una particolare gestione dell’ I.V.A. denominata “ventilazione dei corrispettivi”.

Per quello che qui interessa, la contabilità semplificata (destinata esclusivamente alle ditte individuali o alle società di persone) è la gestione contabile più semplice che un esercizio commerciale possa adottare.

Essa consiste, grossolanamente, nel contabilizzare le fatture di acquisto e i corrispettivi giornalieri sui cd. Registri Iva. Alla fine dell’esercizio contabile (31/12) la differenza tra quelli che sono stati i ricavi (totale dei corrispettivi annotati) e i costi (imponibili delle fatture d’acquisto) rappresenta l’utile o la perdita che viene attribuita all’imprenditore individuale o pro-quota ai singoli soci sulla base delle percentuali di partecipazione al capitale sociale.

Un esempio banale:

Ipotizziamo una farmacia costituita sotto forma di s.n.c. da due soci al 50%.

La farmacia alla fine dell’esercizio (31/12) risulta aver acquistato 170.000,00 euro di “merci c/rivendita” e generato ricavi per 300.000,00 euro.

Per semplicità ipotizziamo che tutte le 170.000,00 euro di merci acquistate siano state rivendute (avremo altrimenti delle rimanenze).

In sede di dichiarazione dei redditi la differenza pari a 130.000,00 euro di utile sarà divisa al 50% tra i soci (euro 65.000,00 ciascuno). I 65.000,00 euro concorreranno alla formazione del reddito complessivo di entrambi su cui verranno calcolate le imposte.

La contabilità semplificata è disciplinata dall’art. 18 del DPR 600/73 e può essere adottata esclusivamente da tutte le ditte individuali o società di persone cd. “minori” ovvero tutte quelle che «non abbiano superato l'ammontare di 400.000 euro di ricavi per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi, ovvero 700.000 euro di ricavi per le imprese aventi per oggetto altre attività». Cosa vuol dire?

La farmacia, come la parafarmacia, il supermercato, il negozio di abbigliamento, il negozio di ferramenta, il negozio ortofrutticolo, ecc. non svolgono prestazioni di servizi bensì si occupano, in maniera prevalente, di rivendere un “prodotto finito” senza alcun ciclo di lavorazione dello stesso.

I bar, le imprese di costruzione, i meccatronici, le pizzerie, i parrucchieri e tutte le altre attività che richiedono una trasformazione o l’utilizzo di materie prime al fine ad esempio di rivendere un prodotto finito, crearlo o prestare una determinata “assistenza” su di esso, rientrano invece nella fattispecie di imprese aventi ad oggetto prestazioni di servizio.

Dunque la farmacia privata rientra ex lege tra quelle che il legislatore definisce “altre attività”, allorché per poter transitare in “contabilità semplificata” la stessa non deve superare 700.000,00 euro di ricavi in un periodo d’imposta (ad esempio 01/01/n – 31/12/n).

Come si è avuto modo dunque di comprendere la contabilità semplificata rende più leggera e semplice la gestione contabile/amministrativa di una qualsiasi attività dovendo l’impresa contabilizzare esclusivamente fatture d’acquisto, fatture di vendita, corrispettivi ed eventuali documenti di costo, tenere esclusivamente due registri obbligatori il Registro Iva, che nient’altro è che un riepilogo dei documenti anzidetti contabilizzati, ed il Registro dei beni ammortizzabili «il quale può essere, eventualmente, sostituito con le rilevazioni degli ammortamenti sul registro Iva acquisti» (art. 2, D.P.R. 695/96; Antonelli, D’Alessio, Ilsole24ore).

Sfuggono dunque alla contabilità semplificata tutte le rilevazioni contabili di carattere patrimoniale e finanziario come ad esempio la contabilizzazione dei movimenti bancari, della cassa, dei debiti e dei crediti i quali vengono gestiti personalmente dall’imprenditore “extracontabilmente” nei modi che lo stesso ritiene più opportuno.

***

Detto questo torniamo all’esempio precedente.

I due soci della s.n.c., considerato il buon successo ottenuto, decidono di spostare la loro attività in un locale più grande, di assumere due dipendenti e di recarsi in una banca per ottenere uno “scoperto di conto corrente” di circa 200.000,00 euro, in quanto ipotizzano che la loro attività possa avere ancor più successo: e ciò accade!

Alla fine del periodo d’imposta la s.n.c. ha prodotto ricavi per euro 1.625.792,11.

A questo punto però la s.n.c., per via dello sforamento dei ricavi ex art. 18 Dpr 600/73 (700.000,00 euro), non potrà più operare in contabilità semplificata, ma dovrà obbligatoriamente adottare il sistema della contabilità ordinaria.

***

La contabilità ordinaria, che è il regime contabile naturale delle società di capitali a prescindere dal volume d’affari conseguito, prevede in capo alle imprese oneri maggiori di carattere contabile/amministrativo. L’impresa in contabilità ordinaria dovrà dunque iniziare a contabilizzare tutte le operazioni finanziarie e di patrimonio netto che precedentemente in contabilità semplificata non erano “necessarie”. Tali operazioni saranno rappresentate in un prospetto contabile definito stato patrimoniale.

***

La situazione che si è dunque venuta a configurare può essere riassunta nel seguente modo:

  1. i due soci sono titolari di una società di persone (s.n.c.);
  2. la società ha due dipendenti;
  3. la società ha un rapporto di conto corrente bancario con “castelletto” per 200.000,00 euro;
  4. nonostante sia una società di persone, per via dell’elevato volume d’affari venutosi a creare (1.625.792,11 euro) è costretta ad operare in “contabilità ordinaria” alla pari di una società di capitali;

I due soci arrivati a questo punto, supponendo con estrema certezza che il fatturato non diminuirà mai più al disotto dei 700.000,00 euro, si chiedono naturalmente se sia il caso o meno di trasformare la propria s.n.c. in una società di capitali, ad esempio in s.r.l. (società a responsabilità limitata).

La risposta appare più tosto logica: dal momento che si è passati per obbligo di legge in contabilità ordinaria non ha senso mantenersi “esposti” al mercato in forma di società di persone. Rappresenterebbe un rifiuto, gratuitamente concesso dal legislatore, di proteggersi da qualsivoglia “agente patogeno del sistema economico” ed a tutelarsi meglio dal “rischio d’impresa”: «la gestione aziendale risulta continuamente condizionata da un certo livello di incertezza, a cui si associano rischi ed opportunità» (Busco, Il controllo di gestione, governo e controllo aziendale tra tradizione e nuove best practices, 2011, Ipsoa Editore).

Se è vero inoltre che «alla riduzione del rischio si accompagna una riduzione delle aspettative» (Capaldo, L’Azienda centro di produzione, 2013, Giuffrè Editore) allora sarà vero che il “rischio d’impresa” aumenta all’aumentare delle stesse.

Il “rischio d’impresa” è lo stato d’insolvenza che culmina con la “dichiarazione di fallimento” e forse ci sarebbe da riflettere sulla differenza tra il “fallimento” di una società di capitali, dotata di una perfetta autonomia patrimoniale e personalità giuridica,  o di una società di persone o di una ditta individuale, posto che «la sentenza dichiarativa di fallimento realizza immediatamente e direttamente l’espropriazione di tutto il patrimonio del debitore» (Quatraro, Dimundo, La verifica dei crediti nelle procedure concorsuali, 11, 2014, Giuffrè Editore).

La scelta delle società di persone: aspetti civilistici e fiscali - cenni

Le società di persone si distinguono in due categorie, società in nome collettivo e società in accomandita semplice. Nelle prime tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni assunte dalla società; le seconde sono invece caratterizzate da due categorie di soci, gli accomandatari e gli accomandanti, i primi rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni assunte dalla società (alla pari dei soci di s.n.c.) i secondi limitatamente alla quota conferita. Analizziamo gli avverbi anzidetti.

-             Responsabilità solidale vuol dire che il socio risponde delle obbligazioni societarie oltre che per sé anche per gli altri ed anche qualora non ne sia a conoscenza; il debito della società è anche del socio illimitatamente responsabile «il socio di una società in nome collettivo risponde solidalmente dei debiti tributari di quest'ultima, ai sensi dell'art. 2291 c.c., a nulla rilevando che sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo» (Cass. Civile in tema di reati tributari, n. 28361/2013).

-             Responsabilità illimitata vuol dire che il creditore di una società può procedere all’escussione di tutto il patrimonio del socio illimitatamente responsabile; esso infatti risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Sotto il punto di vista fiscale le società di persone hanno un unico criterio di tassazione che viene definito “trasparenza fiscale” e consiste nell’accertare il reddito (utile/perdita) in capo alla società e successivamente ad attribuirlo in capo ai singoli soci in proporzione alla propria quota di partecipazione.

Nel caso la società produca un utile di esercizio, questi sarà attribuito ai soci indipendentemente dall’effettiva distribuzione o meno.

La scelta delle società di capitali: aspetti generali civilistici e fiscali - cenni

Per una questione pratica e di “spazio” affronteremo la questione delle società di capitali riferendoci esclusivamente alla società a responsabilità limitata (s.r.l.). Quest’ultima è un tipo di società di capitali caratterizzata dal fatto di essere una persona giuridica con un’autonomia patrimoniale perfetta, oltre al fatto di avere un certo grado di flessibilità di natura fiscale.

La s.r.l. è dunque un autonomo soggetto di diritto dotato di un proprio patrimonio costituito grazie agli apporti dei soci; ma i patrimoni personali di questi ultimi sono totalmente estranei all’attività sociale dell’impresa e immuni dall’attacco dei creditori sociali.

Per ciò che concerne l’aspetto fiscale le società di capitali scontano un’imposta secca definita IRES che per l’esercizio d’imposta 2016 è stata pari al 27,5% del reddito prodotto. Nel momento in cui però vengono distribuiti proventi da partecipazione nella società ai singoli soci viene effettuato un secondo prelievo fiscale ma questa volta in capo al beneficiario che può essere persona fisica o società (posto il fatto che una società può essere partecipata, in maniera più o meno rilevante, oltre che da persone fisiche anche da altre società, siano esse di capitali che di persone: da qui i concetti di controllo, di collegamento, e di Holding).

Non sempre però è possibile e consigliabile attuare la disciplina “pura”, anzidetta, delle società di capitali. I motivi possono essere i più disparati; ad esempio l’abitudine dell’imprenditore ad un continuo prelievo di liquidità per esigenze personali, lo spostamento di capitali su un’altra società per ricucire una momentanea sottocapitalizzazione, una capacità organizzativa ridotta, ecc.

Il legislatore, per ovviare a tali situazioni, ha concesso alla s.r.l. di poter operare fiscalmente alla stregua delle società di persone, ovvero, di optare per la cd. trasparenza fiscale, sottolineando il fatto che attuando l’opzione anzidetta viene generata una sorta di “salto d’imposta” in quanto viene meno il pagamento dell’IRES.

Optando per la trasparenza fiscale ex artt. 115 e 116 del DPR 917/86 il reddito prodotto dalla società di capitali viene attribuito pro quota, a prescindere dall’effettiva percezione o meno, ai singoli soci andando a formare il reddito complessivo degli stessi su cui verrà applicata la normale Irpef.

Dunque la s.r.l. può operare fiscalmente, si ripete qualora ce ne fosse bisogno, alla stregua delle società di persone siano esse in contabilità semplificata, siano esse in contabilità ordinaria.

Si ricorda in ultimo che l’opzione per la “trasparenza fiscale” è ammessa sia per le società di capitali partecipate da altrettante società di capitali, con l’occorrenza che le partecipanti detengano “partecipazioni dirette” comprese tra il 10% ed il 50%; sia naturalmente per le società di capitali partecipate esclusivamente da persone fisiche, con l’occorrenza, in tale ultimo caso, che il numero dei soci non sia superiore alle 10 unità.

***

In conclusione, a parere di chi scrive, continuare ad esercitare l’attività di farmacia o di qualsivoglia altra attività sotto forma di ditta individuale o società di persone viaggianti permanentemente in contabilità ordinaria non ha senso, per i motivi, si spera, ben chiariti.



TAG: Società di capitali e di persone