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La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 12 del 27 marzo 2013, ha risposto ad un quesito della Confindustria in merito alla corretta interpretazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 276/2003, concernente l’autorizzazione preventiva rilasciata alle Agenzie per il Lavoro, da questo Ministero, ai fini dell’espletamento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale.
In particolare l’istante chiede se, ai sensi della citata disposizione, anche le società aventi ad oggetto la gestione di siti internet mediante l’attività c.d. di crowdsourcing debbano richiedere la suddetta autorizzazione. Conformemente alle osservazioni innanzi svolte ed in risposta al quesito avanzato si ritiene che non sia necessaria l’autorizzazione preventiva di cui agli artt. 4 e 6, D.Lgs. n. 276/2003 per lo svolgimento dell’attività di crowdsourcing qualora quest’ultima promuova la stipulazione di contratti di natura commerciale tra i quali la compravendita e l’appalto.
Nelle ipotesi in cui l’attività di crowdsourcing involga, invece, la conclusione di contratti d’opera professionale ex art. 2222 c.c., appare necessario richiedere l’autorizzazione ai sensi della citate disposizioni normativa esclusivamente se dalla stipulazione di questi contratti consegua un’attività prolungata in favore del committente tale da configurare la costituzione di posizioni lavorative in seno alla sua organizzazione.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 11 del 8 marzo 2013, ha risposto ad un quesito dei sindacati FIT – CISL (Federazioni Italiana Trasporti) e la FAST (Comparto Aereo Federazione autonoma dei sindacati dei trasporti), in merito alla corretta interpretazione dell’art. 8, commi 6 e 7, della L. 223/1991, concernente la possibilità di svolgere attività di lavoro subordinato per i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità. In particolare, gli istanti chiedono quale sia la disciplina applicabile qualora il lavoratore si trasferisca o espleti attività lavorativa all’estero durante il periodo di fruizione della relativa indennità. In risposta al quesito avanzato si può quindi sostenere che le disposizioni normative summenzionate trovino applicazione anche nelle situazioni di rioccupazione, negli Stati UE e nei Paesi convenzionati nonché in Paesi extra UE, oltre che nelle ipotesi di rioccupazione in territorio nazionale, di lavoratori percettori di indennità di mobilità che svolgono attività lavorativa subordinata a tempo determinato o parziale. Ciò sia perché l’art. 8, comma 6, della L. 223/1991 non pone delimitazioni legate al “luogo” di svolgimento della prestazione di lavoro sia, più in generale, ai fini del rispetto dei principi comunitari di non discriminazione e di parità di trattamento, nonché di libera circolazione dei lavoratori.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 10 del 8 marzo 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla corretta interpretazione dell’art. 7 del D. Lgs. 119/2011, concernente la disciplina del congedo per cure riconosciuto in favore dei lavoratori mutilati ed invalidi civili. In particolare, l’istante chiede se l’indennità contemplata in caso di fruizione dei congedi in questione debba essere posta a carico del datore di lavoro ovvero dell’INPS, in quanto computata secondo il regime economico delle assenze per malattia. Alla luce delle osservazioni sopra svolte, si ritiene che il recepimento normativo del suddetto orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale l’indennità per congedo per cure va calcolata secondo il regime economico delle assenze per malattia, afferisce esclusivamente al meccanismo del computo dell’indennità, la quale comunque continua ad essere sostenuta dal datore di lavoro e non dall’Istituto previdenziale, in linea con l’interpretazione fornita da questa Amministrazione sotto la vigenza della precedente disciplina (cfr. risposta ad interpello del 5 dicembre 2006).
Si fa presente, peraltro, che la l’art. 23 della L. 183/2010, che ha delegato il Governo alla emanazione di quello che sarebbe stato il D. Lgs. 119/2011, aveva peraltro espresso l’esigenza di non gravare di ulteriori oneri il bilancio pubblico, così rafforzando l’ipotesi interpretativa esposta. Per quanto concerne il secondo quesito, appare possibile intendere la fruizione frazionata dei permessi come un solo episodio morboso di carattere continuativo, ai fini della corretta determinazione del trattamento economico corrispondente, in quanto connesso alla medesima infermità invalidante riconosciuta.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 9 del 8 marzo 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla disciplina delle agevolazioni contributive concesse, in presenza di determinati requisiti, al datore di lavoro che effettui nuove assunzioni. In particolare, l’istante chiede se la disposizione normativa citata possa trovare applicazione nel caso in cui la nuova assunzione riguardi ex dipendenti della medesima impresa, in possesso del requisito dello stato di disoccupazione, licenziati per diminuzione di personale ovvero che abbiano esercitato il diritto di recesso da un rapporto di lavoro part-time. Ciò premesso, in relazione all’ipotesi di assunzione di ex dipendente licenziato per riduzione di personale si ritiene che, se in capo al medesimo lavoratore si siano nuovamente configurati i requisiti di legge, nessuna preclusione può applicarsi al riconoscimento per intero del beneficio. Se quindi il lavoratore perde lo stato di disoccupazione e poi lo riacquista, iniziando a maturare da zero un nuovo periodo di 24 mesi di disoccupazione, nel rispetto di ogni altra condizione prevista dalla legge, non può ostare al riconoscimento del beneficio il solo fatto che il lavoratore assunto ai sensi dell’art. 8, comma 9, L. n. 407/1990 fosse già stato alle dipendenze dello stesso datore di lavoro in un precedente rapporto agevolato. In tal caso l’agevolazione contributiva deve essere quindi riconosciuta per intero e non va, invece, contratta cumulando i periodi agevolati precedenti. In ordine alla possibilità per il datore di lavoro di usufruire delle agevolazioni in esame nel caso in cui assuma“nuovamente, dopo alcuni mesi, un lavoratore part-time a 20 ore settimanali, precedentemente dimessosi e per il quale aveva già beneficiato delle agevolazioni medesime”, nelle 3 fattispecie realizzatesi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 92/2012, si ritiene che il beneficio debba essere riconosciuto solo per il periodo residuo rispetto al limite massimo di fruizione dei 36 mesi, ciò in quanto non vi è stata interruzione dello stato di disoccupazione.
Si evidenzia, tuttavia, che successivamente al 18 luglio 2012, la fattispecie da ultimo prospettata non risulta più configurabile alla luce dell’intervenuta abrogazione – ad opera dell’art. 4, comma 33, lett. c), L. n. 92 – dell’art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 181/2000 nella parte in cui prevedeva la “conservazione dello stato di disoccupazionea seguito di svolgimento di attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione.
Per completezza si rappresenta che, a seguito della nuova formulazione dell’art. 4 sopra citato, la perdita dello stato di disoccupazione attualmente si verifica “in caso di mancata presentazione senza giustificato moti vo alla convocazione del servizio competente nell’ambito delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 del medesimo D.Lgs.”, ovvero “in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavo ro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo, ex L. n.196/1997”. La disposizione normativa citata, così come modificata, prevede inoltre la sospensione dello stato di disoccupazione in caso di lavoro subordinato di durata inferiore a sei mesi.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 8 del 5 febbraio 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla corretta interpretazione della disposizione di cui all’art. 26 del D.L. 98/2011 (conv. da L. n. 111/2011), concernente la disciplina, per l’anno 2012, della tassazione agevolata correlata ad incrementi di produttività. In particolare, l’istante chiede in che modo debba intendersi la previsione normativa nella parte in cui richiede che gli accordi o i contratti collettivi territoriali o aziendali, in attuazione dei quali viene stabilita l’erogazione delle somme in esame, siano sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Alla luce della nuova formulazione normativa va dunque evidenziata la necessità che gli accordi in questione, ai fini della applicabilità del regime agevolativo, siano sottoscritti da associazioni in possesso del requisito della maggiore rappresentatività comparata sul piano nazionale. In sostanza, in relazione agli accordi territoriali, entrambe le parti devono essere in possesso di tale requisito di rappresentatività. La problematica appare invece più complessa nell’ipotesi di accordi aziendali, in quanto solo uno dei firmatari dell’accordo può considerarsi una “associazione” in rappresentanza di una collettività di soggetti (i lavoratori).
Per la parte datoriale, pertanto, trattandosi di accordo aziendale, non potrà che essere il singolo datore di lavoro a stipulare l’accordo con le rappresentanze dei lavoratori che promanano da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale mentre, per le realtà datoriali che non abbiano al proprio interno tali rappresentanze, tali accordi potranno essere sottoscritti con le organizzazioni sindacali territoriali in possesso del citato requisito di rappresentatività.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 7 del 5 febbraio 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito al possibile utilizzo del contratto di lavoro intermittente in relazione alle attività, già indicate al n. 43 della tabella allegata al R.D. 2657/1923, di operatori addetti agli spettacoli teatrali, cinematografici e televisivi, nonché da fotografi e intervistatori occupati in imprese dello spettacolo, anche per fini didattici. In particolare, l’istante chiede se l’espressione “anche per fini didattici” contenuta nella disposizione menzionata, debba riferirsi a tutte le categorie di lavoratori elencate al n. 43 della citata tabella ponendo, altresì, la questione in ordine alla possibilità, per una associazione senza fini di lucro, operante nel settore dello spettacolo teatrale, di far ricorso alla tipologia contrattuale in esame. Nello specifico il n. 43 contempla, quali attività riconducili nell’ambito della fattispecie contrattuale in argomento, quelle espletate da “artisti dipendenti da imprese teatrali, cinematografiche e televisive; operai addetti agli spettacoli teatrali, cinematografici e televisivi; cineoperatori, cameramen recording o teleoperatori da ripresa, fotografi e intervistatori occupati in imprese dello spettacolo in genere ed in campo documentario, anche per fini didattici. In proposito, si evidenzia che l’espressione “anche per fini didattici”, pur riferendosi alle attività elencate nell’ultimo periodo della disposizione richiamata, costituisce un elemento chiarificatore meramente aggiuntivo. Ciò vuol dire che il ricorso al contratto di lavoro intermittente, in relazione a tutte le figure indicate al n. 43 della tabella, è ammesso anche in assenza di tali fini didattici. In ordine al secondo quesito, si sottolinea che la natura del soggetto datoriale non incide in alcun modo sulla possibile attivazione della fattispecie contrattuale in argomento, in quanto la stessa risulta subordinata esclusivamente alla sussistenza dei requisiti di carattere oggettivo o soggettivo contemplati dagli artt. 33 e ss. Del D. Lgs. 276/2003.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con Interpello n. 6 del 5 febbraio 2013, ha risposto ad un quesito della Federalberghi, in merito alla corretta interpretazione della disposizione normativa ex art. 55, del D. Lgs. 151/2001, concernente la disciplina delle dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice madre nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento.
In particolare, l’istante chiede se, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 92/2012, sulla convalida delle dimissioni per un periodo pari ai primi tre anni di età del bambino, la lavoratrice madre possa fruire dell’indennità di disoccupazione per il medesimo arco temporale.
Alla luce delle norme in esame, si evince che la lavoratrice madre/lavoratore padre ha diritto alla percezione delle indennità – compresa quella di disoccupazione involontaria – disposte nell’ipotesi di licenziamento, esclusivamente laddove abbia presentato la richiesta di dimissioni o sia stata licenziata entro il compimento di un anno di età del figlio.
In proposito, si sottolinea che le modifiche introdotte dalla L. 92/2012 all’art. 55, comma 4, richiamate nel quesito non hanno inciso in ordine al periodo di fruizione delle indennità di cui al primo comma del medesimo articolo. Ciò in quanto, la disposizione sancita al comma 4, estendendo da un anno ai primi tre anni di vita del bambino il periodo in cui è necessario attivare la convalida della risoluzione consensuale del rapporto e delle dimissioni da parte della lavoratrice madre, ha solamente inteso rafforzare la procedura volta ad asseverare la genuinità della scelta di porre termine al rapporto di lavoro.
In definitiva, in risposta al quesito avanzato, si ritiene che l’estensione temporale dell’istituto della convalida non abbia riflessi sul diritto all’indennità erogata a seguito di dimissioni volontarie di cui al comma 1 la quale, pertanto, può essere fruita solo nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento e cioè fino al compimento del primo anno di età del bambino".
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 4 del 5 febbraio 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla corretta interpretazione della disciplina in materia di apprendistato contenuta nel D. Lgs. 167/2011. In particolare l’istante chiede chiarimenti in ordine alla possibilità di sottoscrivere un contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere nei casi in cui un’azienda “non applichi un CCNL, bensì un contratto individuale plurimo e, nel settore di attività della stessa manchi, altresì, un accordo interconfederale che regolamenti la materia. Sul punto, l’interpello ha ritenuto che, al fine di non ostacolare il ricorso all’istituto, in assenza di un contratto collettivo proprio del settore di appartenenza o nel caso in cui il datore di lavoro applichi un contratto collettivo che non abbia disciplinato l’apprendistato, si ritiene possibile che lo stesso datore di lavoro possa far riferimento ad una regolamentazione contrattuale di settore affine per individuare sia i profili normativi che economici dell’istituto.
Tale orientamento è peraltro in linea con la scelta del Legislatore di favorire l’apprendistato quale principale strumento per lo sviluppo professionale del lavoratore, individuando tale istituto come la “modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro” (così art. 1, comma 1 lett. b, della L. 92/2012).
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 5 del 5 febbraio 2013, ha risposto ad un quesito della Federalberghi, in merito alla corretta interpretazione dell’art. 4, comma 5, del D. Lgs. 167/2011, che introduce una particolare disciplina dell’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere da svolgersi “in cicli stagionali”. Più in particolare l’istante chiede la compatibilità della disposizione indicata – secondo cui “per i datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali i contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato” – con le previsioni sull’onere di stabilizzazione del personale apprendista ai fini dell’assunzione di nuovi lavoratori con tale tipologia contrattuale. In sostanza , in tale ambito, il Legislatore ha dunque voluto assegnare alle parti sociali un’ampia possibilità di regolamentazione della tipologia contrattuale proprio in ragione delle particolarità del settore, addirittura derogando al principio dell’art. 1 del D. Lgs. 167/2011 secondo il quale il contratto di apprendistato “è un contratto di lavoro a tempo indeterminato”.
Sulla base delle citate particolarità ma anche tenendo conto della evidente incompatibilità di tale disciplina con le previsioni di ordine generale sulla “stabilizzazione” degli apprendisti, si ritiene che le stesse non possano ritenersi applicabili anche nell’ambito delle attività stagionali. In tal caso, ai lavoratori apprendisti potranno invece trovare applicazione le discipline contrattuali che assegnano eventuali diritti di precedenza ai fini di nuove assunzioni per lo svolgimento delle attività stagionali presso il medesimo datore di lavoro.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 2 del 24 gennaio 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla richiesta di un Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) che preveda la verifica della posizione ai fini degli obblighi contributivi previdenziali nei confronti dell’INPS di una società di capitali, la stessa debba essere effettuata anche sulla posizione personale dei singoli soci e, in tal caso, in presenza di eventuali pregresse irregolarità contributive, se debba essere negata la regolarità contributiva della società. L’interpello in esame stabilisce che in linea con l’orientamento sopra esplicitato si ritiene, pertanto, che nell’ambito della verifica della regolarità contributiva delle società di capitali non rileva la posizione contributiva dei singoli soci, con la conseguenza che le eventuali pregresse irregolarità dei versamenti contributivi riguardanti gli stessi non possono incidere sul rilascio del DURC.
