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La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 2 del 30 gennaio 2014, ha risposto ad un quesito della FIACA (Federazione Imprese Agricole Coltivatori Allevatori), in merito alla corretta interpretazione dell’art. 2, comma 2, D. Lgs. 103/1996, concernente la determinazione dei trattamenti pensionistici degli iscritti agli Enti previdenziali costituiti con la L. 335/1995.
In particolare, l’Organizzazione sindacale istante chiede se la percentuale di rivalutazione del montante contributivo, effettuata annualmente ai sensi del disposto di cui all’art. 1, comma 9, L. 335/1995, debba considerarsi una percentuale unica ai fini della relativa applicazione da parte di tutti gli Enti previdenziali, ovvero se costituisca una percentuale minima di rivalutazione suscettibile di modifica da parte degli Enti stessi in presenza di determinate condizioni. Alla luce del suddetto quadro normativo, si ritiene che la percentuale di rivalutazione del montante contributivo non possa subire variazioni anche in termini di rivalutazioni superiori da parte degli Enti previdenziali per specifiche ipotesi, trattandosi di un parametro percentuale unico fissato nell’ambito della più ampia riforma del sistema pensionistico. Il Legislatore ha voluto, infatti, ancorare la manovra stessa a parametri uniformi anche in considerazione della necessità di una rigorosa valutazione della sua incidenza sulla finanza pubblica, sulla quale evidentemente non possono incidere modifiche unilaterali operate mediante disposizioni dei regolamenti dei singoli Enti di previdenza obbligatoria. Tale ricostruzione risulta altresì suffragata dai più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa secondo la quale l’unica rivalutazione dei montanti individuali degli iscritti “è quella pubblica, valida per tutte le Casse previdenziali e calcolata dall’Istituto Nazionale di Statistica sulla base della variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL) nominale” (v. TAR Lazio, sent. n. 6954 dell’11 luglio 2013). Si sottolinea altresì che, ai fini della soluzione della problematica, non rileva il dettato di cui all’art. 6, comma 4, D. Lgs. 103/1996, che consente unicamente una modulazione “anche in misura differenziata” della sola aliquota contributiva utile ai fini previdenziali.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 3 del 30 gennaio 2014, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla corretta interpretazione della disciplina normativa sulla vendita diretta a domicilio, svolta senza vincolo di subordinazione, L. 173/2005, ai fini dell’applicabilità o meno della presunzione di cui all’art. 69 bis, D. Lgs. 276/2003, introdotto dalla L. 92/2012. In particolare l’istante chiede, per quanto di competenza di questo Ministero, se le prestazioni rese da questa tipologia di lavoratori possano o meno essere ricomprese nella più ampia categoria delle “altre prestazioni rese in regime di lavoro autonomo” assoggettabili alle previsioni contenute nell’art. 69 bis sopra citato. Ciò premesso, così come in parte chiarito con circ. n. 7/2013 di questo Ministero, va evidenziata la “specialità” della L. 173/2005 la quale, ai fini dello svolgimento della attività in questione, introduce numerose condizioni (obbligo del possesso del tesserino di riconoscimento di cui all’art. 19, commi 5 e 6, del D.Lgs. n. 114/1998, possesso dei requisiti di cui all’art. 5, comma 2, del medesimo Decreto).
Inoltre, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della L. 173/2005 l’attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione può essere altresì esercitata, senza necessità di stipulare un contratto di agenzia, da soggetti che svolgono l’attività in maniera abituale, ancorché non esclusiva, o in maniera occasionale, purché incaricati da una o più imprese; in tal caso, peraltro, l’incarico va provato per iscritto con indicazione dei diritti e degli obblighi di cui ai commi 3 e 6 dell’art. 4 della L. 173/2005. Realizzandosi tutte le condizioni di Legge, pertanto, si ritiene che l’attività in questione, per i soggetti in possesso di posizione fiscale ai fini IVA, non sia interessata dal regime presuntivo dell’art. 69 bis del D. Lgs. 276/2003. Viceversa, qualora l’attività venga svolta in assenza di una o più condizioni previste dalla L. 173/2005 e quindi non si configuri una vera e propria “vendita diretta a domicilio”, potrà trovare applicazione l’art. 69 bis del D. Lgs. 276/2003 (v. circ. 32/2012) fermo restando che, in presenza degli usuali indici di subordinazione, il rapporto potrà essere “direttamente” ricondotto ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (v. circ. n. 7/2013).
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 4 del 30 gennaio 2014, ha risposto ad un quesito dell'Enpam (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici ed Odontoiatri), in merito alla corretta interpretazione degli artt. 70 e 71, D. Lgs. 151/2001, nell’ipotesi di maternità dei medici partecipanti ai corsi di formazione presso le scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia. In particolare, l’ENPAM intende riferirsi alle partecipanti ai corsi di formazione specialistica per le quali trova applicazione la disciplina di settore sancita dagli artt. 34-46, D. Lgs. 368/1999, in forza della quale viene disposta la sospensione del periodo di formazione nonchè la corresponsione della parte fissa del trattamento economico per un periodo di dodici mesi nell’ipotesi, tra le altre, di impedimenti temporanei superiori ai quaranta giorni consecutivi per gravidanza. In linea con tali osservazioni si può quindi sostenere che, limitatamente ai periodi non contemplati dalla disciplina speciale D. Lgs. 368/1999, possano trovare applicazione le tutele di cui al D. Lgs. 151/2001, nel rispetto del principio di incumulabilità dei trattamenti previdenziali. Tale principio, sancito dall’art. 71, D. Lgs. 151/2001, stabilisce che l’erogazione dell’indennità di maternità da parte dell’Ente previdenziale di categoria risulta ammissibile esclusivamente laddove la medesima lavoratrice non percepisca altra indennità di maternità in qualità di lavoratrice dipendente o autonoma ovvero imprenditrice agricola o commerciante.
Ne consegue il riconoscimento della integrazione dell’indennità medesima di cui all’art. 70 del D. Lgs. 151/2001, nella misura in cui i relativi periodi non risultino coperti ad altro titolo, nel rispetto del principio di incumulabilità (cfr. in analogia interpello n. 22/2013 in ordine alla erogazione dell’indennità di maternità per le professioniste psicologhe in regime di convenzione con il S.S.N.). Si ritiene, in definitiva, che sussista il diritto all’indennità ex art. 70 in argomento esclusivamente per i periodi di sospensione della formazione per la maternità, di due mesi prima e tre mesi dopo il parto, eccedenti il limite temporale di un anno stabilito dall’art. 40, D. Lgs. 368/1999.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 5 del 30 gennaio 2014, ha risposto ad un quesito della Confindustria, in merito alla corretta applicazione dell’art. 20, comma 5, D. Lgs. 276/2003, concernente la disciplina del contratto di somministrazione di lavoro. In particolare l’istante chiede se, nell’ambito del contratto di somministrazione, l’impresa utilizzatrice sia o meno obbligata a comunicare alla Direzione territoriale del lavoro di aver effettuato la valutazione dei rischi, ai sensi della normativa vigente in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. In linea con le osservazioni sopra svolte si ritiene che, sia a legislazione vigente (art. 20, comma 5, D. Lgs. 276/2003) che nell’ambito del precedente quadro normativo (art. 1, comma 4, L. 196/1997), non appare sussistere in capo all’azienda utilizzatrice – che sottoscrive un contratto di somministrazione – alcun obbligo di comunicazione afferente alla valutazione dei rischi nei confronti degli uffici territoriali di questo Ministero, ma esclusivamente l’obbligo di dimostrare, in sede di eventuale accesso ispettivo, l’avvenuta effettuazione della predetta valutazione mediante esibizione del documento di valutazione rischi (DVR). Il divieto di cui alla disposizione ex art. 20, comma 5, trova quindi applicazione esclusivamente nei confronti delle aziende che non siano in grado di fornire prova della valutazione dei rischi mediante l’esibizione del relativo DVR, in quanto o non l’abbiano effettuata, ovvero tale valutazione non sia stata rielaborata secondo le previsioni dell’art. 29, comma 3, D. Lgs. 81/2008. Si coglie l’occasione per richiamare le indicazioni già fornite con la risposta ad interpello n. 26/2007 secondo la quale il somministratore deve accertare “l’avvenuta predisposizione del documento di valutazione dei rischi da parte dell’utilizzatore, quanto meno per presa visione del documento stesso: non certo nei termini di una assunzione di responsabilità nel merito tecnico della valutazione dei rischi da parte del somministratore (si veda al riguardo la circolare di questo Ministero MLPS n. 7/2005), ma almeno per accertare il fatto che la valutazione stessa sia stata effettivamente eseguita.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 6 del 30 gennaio 2014, ha risposto ad un quesito della Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro, in merito alla corretta applicazione dell’art. 5, comma 4 ter, del D. Lgs. 368/2001 e delle disposizioni di cui al D.P.R. 1525/1963, recante l’elenco delle attività per le quali, ai sensi dell’art. 1 secondo comma, lettera a), della l. 230/1962, è consentita per il personale assunto temporaneamente la apposizione di un termine nei contratti di lavoro. In particolare, l’istante chiede se l’attività svolta dal personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli o da quello assunto per specifici spettacoli, ovvero programmi radiofonici o televisivi, possa essere considerata attività stagionale, ai fini dell’esclusione dal rispetto della disciplina in materia di intervalli temporali tra due contratti a termine. In sostanza, il quadro regolatorio di riferimento ammetteva l’apposizione del termine sia per il “personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli”, sia per personale diverso (ad esempio il personale operaio e impiegatizio). Sulla base di quanto sopra si ritiene che la deroga in materia di intervalli, dal momento che fa riferimento al D.P.R. 1525/1963, debba tener conto della ratio che è stata seguita nella elaborazione dello stesso Decreto, finalizzato ad implementare, come detto, le ipotesi in cui era ammessa l’apposizione di un termine al contratto di lavoro.
Tale operazione interpretativa deve inoltre tener conto delle contestuali restrizioni operate dallo stesso D.P.R. e che, in particolare, vogliono riferirsi al personale – sia artistico che tecnico ma anche personale diverso – “addetto ai singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita”. Si ritiene pertanto che la deroga di cui all’art. 5, comma 3, del D. Lgs. 368/2001 in materia di intervalli, possa trovare oggi applicazione proprio nelle ipotesi già citate e cioè con riferimento alla attività prestata da tutto il personale “addetto ai singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita”, sia questo personale artistico, tecnico, impiegatizio o operaio.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 7 del 30 gennaio 2014, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito al possibile utilizzo della tipologia contrattuale del lavoro intermittente in relazione “alla figura di addetto all’attività di installazione, allestimento e addobbi palchi, stand presso fiere, congressi, manifestazioni e/o spettacoli con utilizzo di apposite apparecchiature fornite dal datore di lavoro”, operando un rinvio alle categorie professionali contemplate al n. 43 e/o al n. 46 della tabella allegata al R.D. 2657/1923. Sulla base di tali definizione, non sembra possibile operare una equiparazione tra le categorie professionali in questione e quelle indicate ai nn. 43 – 46 del R.D. 2657/1923 laddove il prestatore risulti incaricato all’installazione/smontaggio/allestimento di palchi, stand o strutture di ingegneria civile in occasione di concerti, spettacoli, fiere, congressi e manifestazioni sportive, in quanto attività esclusivamente prodromiche ovvero successive – seppur funzionalmente connesse – all’evento e allo spettacolo. Resta ferma la possibilità di instaurare un rapporto di lavoro di natura intermittente anche per tali attività laddove il lavoratore sia in possesso dei requisiti anagrafici di cui all’art. 34 citato o qualora ciò sia previsto dalla contrattazione collettiva. Riguardo al settore dello spettacolo, si ricorda inoltre che, per espressa previsione normativa, non trova applicazione il vincolo delle quattrocento giornate di effettivo lavoro nel corso di tre anni solari di cui all’art. 34, comma 2 bis, D.Lgs. citato, introdotto dal D.L. 76/2013 (cfr. ML circ. 35/2013). Si ritiene opportuno, altresì, richiamare l’attenzione in ordine al fondamentale ruolo che assume, per le categorie professionali in argomento, la disciplina prevenzionistica in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro con particolare riferimento agli obblighi di formazione ed informazione dei lavoratori, in considerazione degli elevati rischi di infortunio e delle problematicità organizzative connesse alla gestione degli appalti riscontrabili nel settore.
In risposta al secondo quesito, non sembra possibile altresì ricomprendere le figure degli autisti soccorritori e soccorritori di autoambulanza nell’ambito della categoria del “personale addetto ai servizi igienici sanitari” nei “posti di pubblica assistenza” di cui al punto n. 21 della tabella citata. La terminologia utilizzata evidenzia, infatti, che le relative attività si riferiscono solo a servizi igienici sanitari e non di pronto soccorso, resi all’interno di strutture di pubblica assistenza. Resta ferma, anche in tal caso, la possibilità di instaurare rapporti di lavoro intermittente nella misura in cui il lavoratore sia in possesso dei requisiti anagrafici o oggettivi previsti dal contratto collettivo, nazionale o territoriale, di riferimento.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 8 del 30 gennaio 2014, ha risposto ad un quesito di Filt CGIL, FIT CISL, UIL Trasporti e UGL Trasporti, in merito alla abrogazione dell’art. 1 bis del D.L. n. 249/2004 (conv. da L. n. 291/2004) operata dall’art. 3, comma 46, L. 92/2012. Nello specifico, l’interpellante chiede quali siano gli effetti della suddetta abrogazione in ordine agli accordi sindacali sottoscritti per l’attivazione di strumenti di sostegno del reddito dopo il 31 dicembre 2012, sulla base di accordi quadro stipulati antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 92/2012. È stato, pertanto, sottolineato che i decreti ministeriali di concessione dei relativi trattamenti, sebbene emanati successivamente al 1° gennaio 2013, sono “integralmente assoggettabili al regime legale vigente al momento della stipula dell’accordo, secondo il principio del tempus regit actum”. L’applicazione del menzionato principio giuridico involge, evidentemente, anche la questione sollevata dall’istante afferente invece alle ipotesi in cui l’accordo sindacale sia stato sottoscritto dopo l’abrogazione della norma in argomento, ovvero nel corso dell’anno 2013, nel contesto di un processo di ristrutturazione avviato con accordo quadro stipulato in sede governativa, prima dell’entrata in vigore delle disposizioni di carattere abrogativo.
Sul punto va evidenziato che anche in tali casi l’accordo sindacale sulla base del quale verrà emanato il decreto ministeriale di autorizzazione all’erogazione dei trattamenti di integrazione salariale assume un ruolo fondamentale. In risposta al quesito avanzato, va dunque anche in tal caso tenuto conto del momento della stipulazione dell’accordo medesimo al fine di individuare il regime legale applicabile che, nella fattispecie prospettata, risulta essere quello della L. 92/2012, abrogativa dell’art. 1 bis, D.L. 249/2004, nonché modificativa della disciplina contenuta nella L. 223/1991. Non è infatti possibile ritenere che il semplice accordo quadro, nello specifico stipulato nel 2008, possa consentire la “ultrattività” della previgente disciplina.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 1 del 22 gennaio 2014, ha risposto ad un quesito di Confindustria, in merito alla validità di una conciliazione, conclusa in sede sindacale, nella quale il lavoratore rinunci al diritto a impugnare il licenziamento, anche nell'ipotesi in cui lo stesso sia stato effettuato in assenza del rispetto della procedura prevista dall'art. 7 della L. 604/1966. Pertanto, non sembrano sussistere motivazioni di ordine giuridico per ritenere che un vizio di natura procedimentale non sia ammissibile alla disciplina civilistica di cui al citato art. 2113 c.c. con i conseguenti corollari in ordine all'efficacia degli atti transattivi conclusi in tale sede.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 33 dell’11 dicembre 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla corretta interpretazione del D.M. 24 ottobre 2007 recante “le modalità di rilascio, i contenuti analitici del Documento Unico di Regolarità Contributiva”.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 34 dell’11 dicembre 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla corretta interpretazione dell’art. 3, comma 3, L. n. 223/1991, nella parte in cui dispone l’esenzione, per le imprese sottoposte a procedure concorsuali, dal versamento del contributo d’ingresso dovuto per ciascun lavoratore collocato in mobilità ai sensi dell’art. 5, comma 4, della citata Legge.
In particolare, l’istante chiede se anche l’ipotesi di accordo di ristrutturazione del debito stipulato ai sensi dell’art. 182 bis della Legge Fallimentare, da imprese che nel corso del trattamento di CIGS abbiano necessità di attivare la procedura di mobilità di cui all’art. 4 della L. n. 223/1991, possa essere assimilata alle fattispecie previste dall’art. 3 comma 3 citato, ai fini dell’esenzione dal versamento contributivo in esame. Sembra possibile una “assimilazione” dell’istituto della ristrutturazione del debito con quelli di cui all’art. 3, comma 3, della L. n. 223/1991 ai fini dell’esonero dal versamento del contributo di cui all’art. 5, comma 4 della medesima Legge, atteso peraltro che tale esonero svolge, in tutte le ipotesi contemplate, la finalità di non incidere ulteriormente sulle situazioni di crisi delle imprese assoggettate alle procedure in questione.
