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LAVORO AGILE PER COVID E DISTACCO IN CINA, NO DELL'AGENZIA ALLE REGOLE OCSE

5 minuti, Redazione , 09/07/2021

Lavoro agile per COVID e distacco in Cina, no dell'Agenzia alle regole OCSE

Nuove precisazioni dell'Agenzia sulla tassazione applicabile per i lavoratori distaccati all'estero in caso di smart working forzato in Italia causato dalla pandemia

Ascolta la versione audio dell'articolo

Per residenza fiscale e luogo di produzione del reddito dei lavoratori distaccati all'estero ma  in smart working forzato in Italia l'Agenzia  accetta le regole OCSE sull'impatto del Covid  solo per i paesi con i quali siano stati firmati specifici accordi bilaterali. L'Agenzia da nuovamente una risposta negativa , nell'interpello 458 del 7 luglio 2021, ad eventuali  applicazioni agevolate delle regole fiscali  che neutralizzino le limitazioni create dal COVID sul lavoro all'estero.

Nello specifico il caso riguardava  una società che chiedeva di poter applicare le regole OCSE riguardo il trattamento fiscale sul reddito di alcuni dipendenti italiani distaccati in Cina ma che nel 2020  per la pandemia erano stati fatti in rientrare e avevano svolto il lavoro in modalità agile in Italia. 

Specifica anche che alcuni dipendenti , iscritti all'AIRE, hanno soggiornato di fatto forzatamente in Italia meno di 184 giorni altri di piu . Quindi nello specifico la società chiedeva:

  •  se per i dipendenti che abbiano trascorso in Italia, durante l'anno bisestile 2020, meno di 184 giorni, il compenso relativo ai giorni di lavoro svolti in Italia sia da considerare come reddito prodotto nel territorio dello Stato da soggetti non residenti e, in quanto tale, sia da assoggettare ad imposizione in Italia; 
  • se la permanenza in Italia per più di 184 giorni durante il 2020, dei dipendenti della Società istante abbia comportato, in linea di principio, una modifica nel loro status di residenza fiscale e,  nel caso  questi ultimi dipendenti fossero da considerare residenti in Italia, se la base imponibile di lavoro dipendente possa essere determinata ai sensi dell'articolo 51, comma 8-bis, del Tuir, considerando fittiziamente di fonte estera il reddito derivante da attività svolta in Italia, per cause imputabili all'emergenza sanitaria e definibili di forza maggiore, con relativa spettanza del credito per le imposte assolte all'estero; ·

L'interpello cita il parere dell'OCSE sul fatto che  "poiché la crisi COVID-19 è una circostanza eccezionale, nel breve termine le amministrazioni fiscali e le autorità competenti, dovranno considerare, ai fini della valutazione della residenza, un periodo di tempo che non sia influenzato da eventi eccezionali come questo ma che risulti "normale" per la persona" e  osserva che sia le raccomandazioni OCSE, sia le linee guida emesse da alcuni Stati, sia l'accordo bilaterale Italia-Francia (...)  tendevano  neutralizzare  le distorsioni prodotte dalla pandemia invitando gli Stati membri a considerare irrilevanti le attività di lavoro in remoto ai fini dello status di residenza e sia della fonte del reddito.

La risposta dell'Agenzia:  distacco in Cina con smart working in Italia 

Come già successo con la risposta a interpello 345 2021,l'Agenzia non concorda con quanto suggerito dalla societa.

La risposta è molto articolata e dopo una precisazione formale sull'acquisizione acritica di alcuni elementi  come la residenza dei lavoratori, nel merito precisa  quanto già affermato nell'interpello sopracitato : la nota del Segretariato dell'Ocse,  del 3 aprile 2020 successivamente aggiornata il 21 gennaio 2021,  sull'impatto che le misure sanitarie  legate alla pandemia, hanno sui Trattati internazionali  "rappresenta il punto di vista del Segretariato sull'interpretazione delle disposizioni dei Trattati fiscali che,  comunque , riconosce  ad ogni giurisdizione la possibilità di adottare proprie indicazioni per fornire certezza fiscale ai contribuenti e  non hanno rilevanza al fine di interpretare la normativa interna italiana."

Quindi con riferimento alla tassazione dei redditi di lavoro dipendente ribadisce che  " l'attività di lavoro dipendente è esercitata nel luogo ove il dipendente è fisicamente presente mentre svolge il lavoro per il quale gli è corrisposto il reddito".  Le uniche  eccezioni sono contenute  negli accordi  con l'Austria, la Francia e la Svizzera, Stati limitrofi rispetto ai quali l'incidenza della mobilità transfrontaliera dei lavoratori è particolarmente significativa. 

Di conseguenza afferma l'Agenzia " la rilevanza reddituale nel nostro Paese dei redditi di lavoro dipendente prodotti dai lavoratori della Società istante dovrà essere dunque valutata alla luce delle disposizioni dell'ordinamento interno e dell'Accordo stipulato tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica Popolare cinese per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, firmato a Pechino il 31 ottobre 1986 e ratificato con legge 31 ottobre 1989, n. 376." 

Su questa base conclude che :  

  1. per i lavoratori che hanno risieduto in italia per meno di 184 giorni "il reddito di lavoro dipendente percepito dai dipendenti della Società istante e residenti in Cina per l'attività di lavoro svolta in Italia, rileva fiscalmente anche nel nostro Paese.  Inoltre  non può trovare applicazione  quanto disposto del paragrafo 2 dell'Accordo in esame, che riconosce sul reddito percepito per l'attività svolta nell'altro Stato, ma nel rispetto di tutte le condizioni ivi previste, la potestà impositiva esclusiva dello Stato di residenza dei lavoratori.  La conseguente doppia imposizione deve essere risolta secondo l'agenzia , attraverso il riconoscimento di un credito d'imposta da parte della Cina, Stato di residenza dei lavoratori dipendenti. 
  2.  per i dipendenti con  permanenza in Italia per più di 184 giorni durante il 2020 e della eventuale modifica dello  status di residenza fiscale  l'Agenzia ribadisce che " secondo il diritto interno e in assenza di una disposizione normativa specifica che tenga conto dell'emergenza COVID, occorre far riferimento ai criteri indicati nel citato articolo 2 del Tuir, la cui applicazione prescinde dalla circostanza che una eventuale permanenza della persona fisica nel nostro Paese sia dettata da motivi legati alla pandemia.  In particolare, nel caso di specie, assume rilievo l'articolo 4 del Trattato con la Cina che stabilisce  le cosiddette tie breaker rules per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti. Dette regole fanno prevalere il criterio dell'abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità. Ciò posto, si osserva come una persona fisica iscritta all'AIRE e rientrata in Italia unicamente a seguito dell'emergenza Covid potrebbe essere considerata fiscalmente residente in Italia secondo le disposizioni interne, in quanto risulterebbe avere il domicilio nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d'imposta. Qualora si verificasse un conflitto di residenza con lo Stato estero, questo dovrebbe essere risolto facendo ricorso ai citati criteri convenzionali."

Emerge dunque, anche indirettamente evocata nella risposta dell'Agenzia, la necessità di un intervento legislativo che chiarisca l'ambito di applicazIone  delle raccomandazioni OCSE,  in tema di   distorsioni create dalla pandemia sulle fonti di reddito dei lavoratori e sui criteri per la determinazione della residenza fiscale, già accolte in diversi paesi.

Allegato

Risposta a interpello del 07.07.2021 n. 458
Fonte immagine: Foto di ELG21 da Pixabay

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