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IL TRATTAMENTO FISCALE DEL RISTORNO IN CAPO AI SOCI

Il trattamento fiscale del ristorno in capo ai soci

Società cooperative: fiscalità dei ristorni in capo ai soci e alternative in caso di aumento del capitale sociale

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I ristorni, disciplinati dall’articolo 2545-sexies, c.c., costituiscono un istituto peculiare nella disciplina della società cooperativa, attraverso il quale il socio vede tradotto in termini monetari il vantaggio mutualistico conseguito con la partecipazione all’attività.

La realizzazione di tale vantaggio si rende concreto generalmente in un risparmio di spesa nell’acquisto dei prodotti o servizi della cooperativa ovvero tramite un incremento della remunerazione del prodotto o del lavoro conferito dai soci.

Il ristorno è concepito come uno strumento tecnico per misurare in termini monetari il vantaggio mutualistico per i soci originato dai rapporti di scambio intrattenuti tra gli stessi e la cooperativa.


1) il trattamento fiscale del ristorno in capo al socio

Per il socio, il trattamento reddituale del ristorno, riflette, di fatto, la natura del rapporto di scambio mutualistico intrattenuto con la cooperativa, pertanto ad esempio:

  1. Se il rapporto ha natura di lavoro subordinato, il ristorno avrà natura di reddito di lavoro dipendente, e ne sconterà la relativa, specifica, tassazione;
  2. Se i ristorni sono riferiti alla restituzione di una quota del prezzo pagato dal socio imprenditore o lavoratore autonomo per i beni o servizi ricevuti, costituendo minori costi fiscali o sopravvenienze attive, concorreranno a influenzare la formazione del reddito del percipiente.

Questa regola subisce un’eccezione nel caso specifico dei soci persone fisiche non imprenditori, ad esempio delle cooperative di consumo o edilizie di abitazione, per le quali il ristorno non è mai assoggettato a tassazione.  Parimenti il ristorno non costituisce base imponibile per coloro, che svolgendo attività agricola, sono tassati per disposizione di legge e per scelta, sulla base delle rendite catastali.

2) Ristorni distribuiti mediante aumento di capitale

Nel caso in cui i ristorni siano distribuiti mediante aumento di capitale sociale, si applica il regime di “sospensione d’imposta”, introdotto dal comma 2, dell’articolo 6, D.L. n. 63/2002. La norma dispone che “le somme (…) destinate ad aumento del capitale sociale, non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e il valore della produzione netta dei soci. Le stesse somme, se imponibili al momento della loro attribuzione, sono soggette ad imposta secondo la disciplina dell’art. 7, comma 3, della legge 31 gennaio 1992, n. 59”. L’Agenzia delle Entrate, al riguardo, ha precisato che i ristorni saranno assoggettati a tassazione fino a concorrenza dell’ammontare imputato ad aumento delle quote o delle azioni solo all’atto della loro materiale erogazione, che avverrà, presumibilmente, contestualmente alla restituzione della quota sociale (normalmente all’atto del recesso), e sempre se, originariamente, avessero costituito materia imponibile per il socio.

L’art. 1, commi 42 e 43, legge 178/2020, ha modificato il regime fiscale introducendone uno alternativo in sostituzione al meccanismo della sospensione e della tassazione al 26%, consentendo l’immediato assoggettamento a imposta delle somme destinate ad aumento del capitale sociale (quindi all’atto della loro attribuzione), ma con l’applicazione di una ritenuta ridotta del 12,50% a titolo d’imposta.

La novella prevede che il regime alternativo della tassazione immediata sia “facoltativo”, essendo rimesso alle decisioni dell’assemblea della cooperativa. Tuttavia, la legge (comma 42, art. 1 della legge 178/2020) appare tassativa e, quindi, espressamente stabilisce che la facoltà non è esercitabile con riferimento ai ristorni spettanti ai soci diversi dalle persone fisiche, e ai soci imprenditori individuali (ai sensi di cui all’articolo sessantacinque, comma uno, del D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 19862), e ai soci detentori di partecipazione qualificata ai sensi della lettera c-bis) del comma 1 dell’art. 67 del D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986, tassati a titolo d’imposta al 26% (cfr. articolo 27 DPR 600/1973, come modificato dall’articolo 1, comma 1003, lettera a) della legge 205 del 2017)

Per quanto riguarda i modi di applicazione della nuova disposizione, il CdA può decidere di proporre all’organo dell’assemblea la destinazione (in parte o per intero) del ristorno a capitale sociale, prevedendo altresì che tali somme siano sottoposte alla ritenuta del 12,50%, a titolo d’imposta. L’assemblea, su proposta del CdA, ha la facoltà di deliberare l’erogazione ai soci del ristorno ad aumento del capitale sociale e l’applicazione sulle relative somme della ritenuta, in coerenza con l’inciso della novella, di cui al citato comma 42, dell’art. 1 della legge 178/2020, secondo la quale “la cooperativa ha facoltà di applicare, previa delibera dell’assemblea, la ritenuta del 12,50 per cento a titolo d’imposta all’atto della loro attribuzione a capitale sociale”. Conseguentemente, l’assemblea potrebbe decidere di non ricorrere alla facoltà introdotta e, il ristorno capitalizzato continuerebbe a essere assoggettato alla disciplina di cui all’art.6, c.2, secondo periodo del D.L. 63/2002, quindi, per le percettrici persone fisiche, con applicazione della ritenuta del 26% sull’ammontare del capitale aumentato attraverso il ristorno al momento del recesso del socio.

Il regime facoltativo è basato su una fattispecie a formazione progressiva. La scelta del regime non si perfeziona con la delibera dell’assemblea, ma con il successivo versamento della ritenuta. Infatti, è stabilito che “la facoltà si esercita con il versamento della ritenuta di cui al presente comma, da farsi entro il 16 del mese successivo a quello di scadenza del trimestre solare in cui è avvenuta la delibera dell’assemblea”.

Per ciò che riguarda i modi di applicazione del nuovo regime anche allo stock di capitale incrementato negli anni precedenti, il comma 43 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2021 stabilisce che “la ritenuta del 12,50 per cento, può essere applicata con i medesimi termini e modi alle somme attribuite ad aumento del capitale sociale deliberate prima della data di entrata in vigore della presente legge, in luogo della tassazione prevista dalla previgente normativa”. Si evince, quindi, che l’applicazione della ritenuta del 12.50% allo stock di capitale sociale, incrementato negli anni attraverso il ristorno, debba essere deliberata dall’assemblea. Non è necessario che tale decisione debba essere assunta alla prima assemblea utile (potendo essere adottata anche a distanza di anni). È comunque opportuno che gli amministratori diano adeguata informativa ai soci circa l’opportunità di applicare la ritenuta del 12.50% allo stock precedente, allo scopo di verificare al riguardo al loro interesse.


3) Partecipazione dei soci alla delibera che decide in merito alla tassazione immediata facoltativa

Altro quesito che si pone è se i soci abbiano o no facoltà di aderire alla delibera di applicazione della ritenuta del 12.50% sul loro personale stock di capitale sociale. Si ritiene che, in tal caso, a differenza di quanto previsto nell’ipotesi di cui al comma 42, il socio abbia la facoltà, e non l’obbligo di adesione al regime di tassazione immediato al 12,50%. Il singolo socio potrà quindi scegliere di mantenere la ritenuta del 26% per lo stock precedente ed essere comunque vincolato dalla delibera dell’assemblea al regime del 12,50% per il ristorno futuro.

Una diversa interpretazione esporrebbe, infatti, la norma a censure d’illegittimità costituzionale poiché darebbe luogo a una modifica unilaterale, senza cioè il consenso del contribuente, di un regime fiscale i cui presupposti si sono già realizzati nel passato.

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