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REGNO UNITO E ITALIA: IL LAVORO A DISTANZA ASPETTI FISCALI E PREVIDENZIALI

Regno Unito e Italia: Il lavoro a distanza aspetti fiscali e previdenziali

Lavoratori che a causa della pandemia hanno prestato la propria attività da remoto e in particolare dall'Italia per un datore di lavoro inglese: l'Agenzia chiarisce

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Nell’ultimo anno, il Coronavirus ha imposto un grande cambiamento nella vita di molti lavoratori, costringendoli a riadattare la propria quotidianità entro i confini delle mura domestiche.

Alcuni hanno scelto di rientrare nel proprio paese di origine dove hanno continuato a lavorare da remoto per i loro datori di lavoro esteri.

Questa situazione ha portato non poche complicazioni specie in campo fiscale e previdenziale.

Se un lavoratore dipendente di una società inglese lavora dall'estero solo temporaneamente, per HMRC (Agenzia delle Entrate Britannica), continua a rimanere un contribuente inglese e, quindi, soggetto alle trattenute fiscali e previdenziali in busta paga (PAYE).

Le cose si complicano, invece, nel caso in cui il lavoro da remoto svolto all’estero si protragga per 183 gg. o più nell’arco di un periodo di 12 mesi.

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1) Aspetti fiscali dipendente società UK che lavora in italia

Trascorrere tale lasso di tempo in un Paese estero comporta un punto di svolta per la residenza fiscale del lavoratore e possibili complicazioni per il datore di lavoro dal punto di vista delle trattenute fiscali e previdenziali da operare.

Le complicazioni, per il datore di lavoro estero, consistono nel rischio che si configuri una stabile organizzazione nel Paese ove il dipendente ha trascorso 183gg lavorando da remoto e che lo stesso datore di lavoro straniero debba registrarsi presso le autorità fiscali di quel Paese in modo da effettuare le corrette trattenute fiscali e previdenziali.

Di recente, il lavoro a distanza, svolto durante il periodo dell’emergenza coronavirus è stato al centro dei chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate.

In particolare, con la risposta dell’Agenzia delle Entrate all’interpello numero 345 del 17 maggio 2021, si chiarisce quali sono le regole che un lavoratore dipendente di una società estera, che si trova a lavorare dall’Italia, a causa delle disposizioni anti-Covid, deve seguire.

L’AdE sottolinea, infatti, come nella circolare del Ministero delle Finanze del 16 novembre 2000, numero 207, a determinare la tassazione del lavoro dipendente sia proprio la presenza fisica del lavoratore nel territorio dello Stato.

Anche l’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito sancisce che: “I salari, gli stipendi, e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”.

Da tale disposizione si evince che:

1. il principio generale è la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario;

2. la deroga a detto principio si ravvisa nella potestà impositiva dello Stato ove l’attività lavorativa è svolta, indipendentemente dalla residenza del soggetto beneficiario.

Con riguardo, poi, all’attività di telelavoro, il Commentario all’art. 15, paragrafo 1, del modello di convenzione OCSE prevede che per individuare lo Stato contraente in cui si considera effettivamente svolta la prestazione lavorativa occorre avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è sicuramente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. E ciò indipendentemente dal luogo in cui sono utilizzati i risultati della prestazione lavorativa.

Bisogna ricordare, tuttavia, che la convenzione Italia/Inghilterra non ha ancora recepito il nuovo art.15.

Le principali condizioni che determinano l’assoggettamento a tassazione del reddito da lavoro dipendente in uno Stato piuttosto che un altro sono, quindi, le seguenti: 

  1. l’attività lavorativa deve essere svolta all’estero per un determinato periodo di tempo con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità;
  2. tale attività deve costituire l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa deve essere svolta completamente all’estero;
  3. il lavoratore, nell’arco di dodici mesi, deve soggiornare nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.

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2) Aspetti previdenziali dipendente società UK che lavora in italia

Per quanto riguarda i contributi previdenziali del lavoratore dipendente di una società inglese che vive in Italia, l’Accordo di Commercio e di Cooperazione firmato dall’Unione Europea ed il Regno Unito lo scorso 24 Dicembre (Protocollo on Social Security Coordination), prevede, che i contributi previdenziali debbano essere pagati nel Paese ove è svolta l’attività lavorativa (principio lex loci laboris).

Di conseguenza i lavoratori britannici che svolgono la loro attività lavorativa in remoto dall’Italia saranno soggetti alla legislazione previdenziale e di sicurezza sociale italiana.

3) Il lavoratore in distacco

Caso particolare: i contributi previdenziali dei lavoratori in distacco all’estero

La fattispecie del lavoratore in distacco all’estero è, generalmente, disciplinata dalle convenzioni bilaterali.

Il distacco si ha là dove il lavoratore, alle dipendenze di un’azienda con sede in un determinato Paese, viene inviato a svolgere un’attività lavorativa nel territorio di un altro Paese convenzionato. 

Per quanto riguarda i distacchi UE-UK, alla stregua di quanto accade nei distacchi comunitari, il Protocollo ammette l’ applicazione del sistema di sicurezza previdenziale e sociale del Paese di origine, a condizione che la durata del distacco non ecceda 24 mesi e che il lavoratore non sia inviato per sostituirne un altro già distaccato.

Fino a quando il distacco beneficerà dell’esenzione contributiva nel Regno Unito, si renderanno dovuti i contributi nel Paese UE calcolati sulla retribuzione effettivamente corrisposta. 

Esaurito il periodo di esenzione contributiva (24 mesi), non saranno più dovuti contributi in quel Paese UE, ma saranno dovuti i contributi previdenziali nel Regno Unito.

L’articolo 14 del Protocollo precisa che il datore di lavoro, anche se residente all’estero, è tenuto ad adempiere agli obblighi contributivi previsti dallo stesso Protocollo e che tali adempimenti possono essere delegati al lavoratore, se questi vi consente.

A seconda delle circostanze, è probabile che sia necessario ottenere un certificato di copertura dall'HMRC che confermi la posizione.

Fonte immagine: Foto di TheOtherKev da Pixabay

Allegato

Risposta a interpello del 17.05.2021 n. 345
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