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UNITÀ DI DIPORTO DI “SOCIETÀ DI COMODO” E DI SOCIETÀ CC.DD. “IN PERDITA SISTEMICA”

Unità di diporto di “Società di comodo” e di società cc.dd. “in perdita sistemica”

Imbarcazioni da diporto e società di comodo: le regole ai fini delle imposte dirette e Iva

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Sul piano tributario, come è evidente, assume rilievo la verifica delle unità da diporto adibite ad attività commerciali, acquistate o acquisite in leasing in regime di non imponibilità Iva, da società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché da enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Sono, infatti, frequenti le intestazioni di qualsivoglia bene strumentale a società commerciali con la precipua finalità di portare in deduzione dal reddito e in detrazione dall’Iva, oltre che gli oneri sostenuti per l’acquisto, anche le eventuali spese di mantenimento, impiego, custodia, manutenzione, ecc…, agli stessi riferibili; in tale contesto, va rilevato, particolarmente ricorrente è proprio l’ipotesi in cui, l’intestazione fittizia riguardi imbarcazioni a vela o a motore, natanti e unità nautiche in generale.

L'articolo è tratto dall'e-book Nautica da diporto 2021

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1) Le regole per essere considerate di comodo

Il nostro ordinamento legislativo, va precisato, contempla la presenza di specifiche disposizioni di legge finalizzate a contrastare pratiche della specie, fondate sull’intestazione (fittizia) di beni a imprese che, non soltanto non sono abitualmente operanti nel campo delle attività nautiche o di charter o similari, ma che, peraltro, non effettuando prestazioni di tal genere, non emettono, in molti casi, nemmeno fatture relative ad operazioni attive.

Nel caso in cui venga a configurarsi l’esistenza di una società o ente non operativo (normalmente definita “Società di comodo”), si presume che il reddito da essa prodotto non sia inferiore al 3% del valore delle immobilizzazioni costituite da unità da diporto acquistate o prese in leasing in regime di non imponibilità Iva.

Si tratta di una presunzione semplice, vale a dire che è ammessa la possibilità di fornire prova contraria, sostenuta da riferimenti ad oggettive situazioni di carattere straordinario che abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi normativamente presunti.

Il D.l. 13 agosto 2011, n. 138, ha introdotto – a partire dal periodo di imposta 2012 – significative modifiche al regime fiscale delle c.d. società “non operative” o “di comodo”, di cui all’art. 30, comma 1, della legge 30 dicembre 1994, n. 724.

In particolare, sono da annoverare tra le società “di comodo”:

  • sotto il profilo soggettivo: le società commerciali, di capitali (S.p.a., S.r.l., S.a.p.a) e di persone (S.n.c. e S.a.s.), residenti in Italia, nonché le società e gli enti non residenti, di qualsiasi tipo, aventi una stabile organizzazione in Italia;
  • sotto il profilo oggettivo: le società sopra indicate, il cui ammontare medio triennale (il riferimento è alla media dei valori risultanti nell’esercizio in corso e nei due precedenti) dei componenti positivi di reddito ordinari (la normativa fa riferimento infatti all’«ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico»), sia inferiore alla somma di determinate percentuali di ricavo[1] applicate alla media triennale (anche qui il riferimento è alla media dei valori risultanti nell’esercizio in corso e nei due precedenti) dei valori fiscalmente riconosciuti (secondo il disposto dell’art. 110, comma 1, TUIR: in generale, il riferimento è al costo storico, eventualmente maggiorato di rivalutazioni ed oneri accessori capitalizzati, ma al lordo degli ammortamenti effettuati)[2] .

La disciplina delle società di comodo non si applica[3]:

  • ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali;
  • ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta;
  • alle società in amministrazione controllata o straordinaria;
  • alle società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonché alle stesse società ed enti quotati ed alle società da essi controllate, anche indirettamente; 
  • alle società esercenti pubblici servizi di trasporto;
  • alle società con un numero di soci non inferiore a 50;
  • alle società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità;
  • alle società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo;
  • alle società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (voce di raggruppamento A del Conto economico) superiore al totale attivo dello stato patrimoniale;
  • alle società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20% del capitale sociale;
  • alle società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.

2) Le conseguenze Ires e Iva per le società di comodo

Come noto, la qualificazione di una società come “di comodo” determina tre importanti conseguenze:

  • l’imposizione della stessa, ai fini dell’imposta personale, che avviene su un reddito non inferiore a quello che risulta dall’applicazione, al valore delle attività, delle percentuali di reddittività di cui si è discusso (il c.d. “reddito minimo”), senza che esso possa essere ridotto delle perdite fiscali dei precedenti esercizi.

Peraltro, va detto, con l’art. 2, comma 36-quinquies, del D.L. n. 138 del 2011, è stato stabilito che all’aliquota IRES per le società di comodo, venga «…applicata una maggiorazione di 10,5 punti percentuali».

In altre parole, le società di comodo sono tassate all’aliquota IRES del 38% anziché del 27,50% (24% dal 2017).

Sempre sulla scorta delle menzionate disposizioni di legge, inoltre, qualora la società di comodo sia personale e il socio della stessa sia un soggetto IRES, detta aliquota maggiorata sarà applicata sulla quota di reddito della seconda imputata per trasparenza alla prima.

Inoltre, nel caso di tassazione consolidata di gruppo ex art. 117 TUIR:

  • qualora la società di comodo sia parte del gruppo;
  • ovvero qualora ad una società di capitali del gruppo sia imputato il reddito di una società personale di comodo per il principio di trasparenza, la società di capitali dovrà liquidare e versare la maggiorazione d’imposta del 10,5%, rispettivamente ai sensi dell’art. 2, comma 36-sexies, e del successivo comma 36-septies del citato D.L. n. 138 del 2011.

Nel caso di tassazione opzionale per trasparenza, ex artt. 115 o 116 TUIR:

  • se la società di comodo è la partecipata, questa dovrà assolvere in proprio la predetta maggiorazione IRES;
  • se la società di comodo è la partecipante, questa dovrà assoggettare il proprio reddito all’aliquota maggiorata, senza tener conto della quota di reddito imputatale per trasparenza da una società non di comodo (comma 36-octies);
  • la tassazione anche ai fini IRAP.

Il “reddito minimo”, maggiorato di costi per prestazioni di lavoro del personale dipendente, collaboratori e autonomi occasionali, e degli interessi passivi, è infatti assunto come “valore della produzione minimo”, ossia come base imponibile minima per applicazione dell’IRAP;

  • la previsione di ulteriori penalizzazioni ai fini Iva.

È previsto che il credito Iva annuale non è rimborsabile, né cedibile a terzi, né compensabile con altri tributi, ma solo riportabile in esercizi successivi.

Per la lettura dell'articolo completo ti consigliamo l'e-book Nautica da diporto 2021

3) Note

[1] Le percentuali di ricavo sono le seguenti: 

(a) partecipazioni sociali (in società ed enti soggetti ad IRES e in società di persone commerciali, residenti o non residenti, con esclusione quindi delle partecipazioni in società semplici residenti), strumenti finanziari similari alle azioni, obbligazioni e altri titoli di serie o di massa, nonché crediti: 2% di ricavo; 

(b) immobili e imbarcazioni diverse dalle unità da diporto, anche detenuti in base a contratti di locazione finanziaria: 6% di ricavo, salvo quanto infra indicato; 

(c) immobili classificati catastalmente come uffici (categoria A/10): 5% di ricavo; 

(d) immobili a destinazione abitativa, acquisiti o rivalutati nel periodo d’imposta o nei due precedenti: 4% di ricavi; 

(e) immobili situati in Comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti: 1% di ricavo; 

(f) altre immobilizzazioni, anche in leasing: 15% di ricavo.

Per le ulteriori indicazioni operative si rimanda alla C.M. n. 25/E del 2007.

[2] Per i beni in locazione finanziaria si assume il costo sostenuto dall’impresa concedente, ovvero, in mancanza di documentazione, la somma dei canoni di locazione e del prezzo di riscatto risultanti dal contratto) di talune categorie di attività.

[3] Vgs. quanto rilevato, in proposito, con la C.M. n. 9/E del 2008 dell’Agenzia delle Entrate.



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