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VIA LIBERA ALLA SCISSIONE PER TRASFERIRE BENI E AZIENDE ALL’INTERNO DI UN GRUPPO

Via libera alla scissione per trasferire beni e aziende all’interno di un gruppo

Secondo una recente risposta dell’Agenzia delle entrate non si aggira il regime fiscale della cessione d’azienda

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La risposta n. 553 del 23 novembre 2020 affronta un caso di scissione molto interessante, e fornisce un’ulteriore prova di come l’Agenzia delle entrate, al netto di qualche episodio poco condivisibile, sia approdata ad un’applicazione della disciplina dell’abuso del diritto (art. 10-bis della legge 212/2000, Statuto dei diritti del contribuente) equilibrata e condivisibile.

1) Il caso

Il caso esaminato è quello di un gruppo familiare, che possiede due società, Alfa s.r.l. e Beta s.r.l. In realtà, non si tratta proprio di un gruppo, poiché le due società sono formalmente indipendenti, ma partecipate dalle stesse persone fisiche nelle medesime percentuali.

Alcuni passaggi dell’interpello non risultano chiarissimi dalla lettura della risposta pubblicata, ma si capisce che la società Alfa possiede un immobile, nel quale è corrente un’azienda, sempre della stessa Alfa, concessa in affitto alla Beta, insieme all’immobile stesso. L’istante illustra l’opportunità di trasferire l’immobile alla Beta, a quanto pare insieme alle attrezzature del ramo di azienda, con conseguente estinzione – per confusione - del contratto di affitto. 

Pare, allora, che la questione del trasferimento dell’immobile sia in realtà, nonostante non sia detto troppo chiaramente, una questione di trasferimento di azienda, che come è noto è alquanto più delicata in ambito tributario, poiché coinvolge la valorizzazione dell’avviamento.

Comunque sia, la Alfa s.r.l., per traferire il ramo di azienda alla Beta s.r.l., avrebbe potuto fare ricorso alla cessione, valorizzando opportunamente le attività e le passività trasferite, nonché l’avviamento. Indubbiamente, questa è la soluzione più naturale ed ovvia, nel senso che è quella alla quale viene spontaneo pensare per prima.

Un’alternativa potrebbe essere il conferimento, che peraltro beneficia della neutralità ex art. 176 del T.U.I.R.. Esiste, però, anche una terza strada, che è proprio quella prospettata nell’istanza di interpello, ovvero la scissione di ramo di azienda avente come beneficiaria la società cui si vuole trasferire il ramo stesso.

2) La scissione finalizzata al trasferimento dell’azienda

La scissione, infatti, può essere effettuata con contestuale nascita di un nuovo soggetto giuridico, ma può anche essere effettuata a favore di una società già costituita. In questo caso, i soci della scissa entrano a far parte della compagine sociale della beneficiaria, ed è necessario calcolare il rapporto di cambio per quantificare il peso della loro partecipazione al capitale sociale della beneficiaria stessa, proprio come normalmente avviene nelle fusioni.

Non sempre il calcolo del rapporto di cambio, però, è necessario: quando le compagini sociali sono identiche, come nel caso della riposta n. 553/2020, la divisione del capitale sociale della beneficiaria tra i soci non cambia dopo la scissione.

Abbiamo quindi individuato tre possibili modalità di trasferimento del ramo di azienda: cessione, conferimento e scissione. Si tratta di tre strumenti che hanno effetti giuridici differenti: con la cessione si scambia l’azienda con denaro, con il conferimento si scambia l’azienda con una partecipazione nella conferitaria, con la scissione non vi è scambio, ma solo una “separazione” in regime di neutralità del ramo di azienda, che viene incorporata dalla società beneficiaria.

Già da questa presentazione si dovrebbe intuire che queste tre modalità non possono essere messe in competizione tra loro, nel senso che non dovrebbero essere ritenute fungibili ai fini dell’applicazione della normativa dell’abuso del diritto. 

È fondamentale, infatti, affinché vi sia abuso del diritto, che l’operazione che si assume corretta se messa a paragone con quella elusiva comporti i medesimi effetti sia dal punto di vista economico che dal punto di vista giuridico. Altrimenti, non si può fare un confronto perché i due termini non sono omogenei.

3) Confronto tra cessione e scissione

Nel caso in esame, ad esempio, la situazione post trasferimento, se dal punto di vista economico può apparire la medesima, certamente non lo è dal punto di vista giuridico. Tuttavia, vi è sempre il timore che l’aspetto giuridico possa essere messo in secondo piano di fronte ad una sostanziale identità delle situazioni; non ne è immune la società istante, che infatti sottolinea nell’interpello come la cessione e la scissione siano due strumenti aventi pari dignità dal punto di vista fiscale, cosicché il contribuente è libero di scegliere quello che preferisce.

In realtà questa argomentazione può valere, ad esempio, se si sceglie di chiudere una società partecipata al 100 per cento con una fusione piuttosto che con la “naturale” liquidazione: la situazione al termine sarà identica, e non si potrebbe sapere se vi si è giunti attraverso l’una o l’altra (a parte per il carico fiscale connesso alla liquidazione).

Se si opta per la scissione invece che per la cessione di azienda, a nostro modo di vedere non è neppure necessario rimarcare questa pari dignità fiscale. In effetti, se si potesse ritenere elusiva la scissione con beneficiaria già esistente, oggetto dell’interpello, qualunque scissione potrebbe esserlo perché effettuata in aggiramento della disciplina della cessione di azienda.

Bene ha fatto, quindi, l’Agenzia delle entrate ad evidenziare, nella risposta, semplicemente che la scissione è preordinata alla divisione della società Alfa, ed in quanto tale è neutrale e non comporta il conseguimento di alcun vantaggio fiscale indebito.

Nel non analizzare il confronto con la cessione dell’azienda, che pure era stato paventato nell’interpello, l’Agenzia delle entrate sembra condividere l’analisi che abbiamo qui proposto; inoltre, sembra sposare la tesi secondo cui nella valutazione della natura del vantaggio fiscale conseguito (primo e più importante elemento dell’abuso del diritto) è sufficiente constatare la correttezza dell’uso della disciplina impiegata, senza verificare l’eventuale aggiramento di un’altra disciplina per ipotesi più confacente al caso specifico.

Questo è un argomento molto importante, e forse la lettura in questa chiave del pensiero dell’Agenzia delle entrate potrebbe essere un po’ troppo “ottimistica” (si veda infatti, in senso contrario, la risposta n. 341/2019). È però certo, invece, che sono lontanissime certe prese di posizione che condannavano qualunque comportamento del contribuente teso al risparmio fiscale, se non fosse stato motivato da adeguate ragioni di carattere economico; con la vigente disciplina dell’abuso del diritto il risparmio fiscale è a rischio di contestazione solo se è indebito.

Allegato

Risposta a interpello del 23.11.2020 n. 553
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