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ILLEGITTIMA LA PERQUISIZIONE DOMICILIARE BASATA SU DENUNCE ANONIME

Illegittima la perquisizione domiciliare basata su denunce anonime

Perquisizione domiciliare inammissibile se si fonda su denunce anonime

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La normativa tributaria prevede che in presenza di gravi indizi di violazione fiscale si possa giungere, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, alla perquisizione domiciliare. Se però gli indizi si fondano su denunce anonime o comunque su informazioni confidenziali di provenienza ignota, l’accesso domiciliare diventa inammissibile.

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I reati dichiarativi

1) Perquisizione domiciliare per fini fiscali.

Il secondo comma dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 prevede, con riguardo allimposta sul valore aggiunto, che in presenza di gravi indizi di violazione fiscale si possa procedere, solo se in possesso dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, all’accesso nei locali diversi da quelli destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali e, quindi, anche nell’abitazione del contribuente.
La norma in questione recita infatti: “L'accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”.
Specularmente, sul fronte delle imposte dirette vale quanto stabilito dal primo comma dell’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973, che recita: “Per l'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche si applicano le disposizioni dell'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”. Quindi in buona sostanza l’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973 rende applicabile quanto previsto dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972.
La delicatezza del tema ha portato alcuni anni fa la Corte di Cassazione ad esprimersi a Sezioni Unite sull’inammissibilità dell’accesso domiciliare effettuato allo scopo di reperire libri, registri documenti, scritture ed altre prove di violazioni tributarie qualora i gravi indizi su cui si basa l’autorizzazione rilasciata dalla Procura sono riconducibili ad informazioni di provenienza ignota o a denunce anonime.
Questo importante arresto giurisprudenziale è stato valorizzato anche nella recente circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (“Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”), ove è stato appunto evidenziato come l’autorizzazione all’accesso dell’Autorità Giudiziaria emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime sia da ritenere illegittima.

2) L’accesso all’abitazione illegittimo

Come detto la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di esprimersi con chiarezza in merito alla legittimità dell’accesso domiciliare, quando i gravi indizi di violazioni tributarie si basano su denunce anonime.
Il Manuale operativo della Guardia di Finanza ricorda infatti come le Sezioni Unite della Suprema Corte si siano espresse in modo puntuale sull’argomento con la sentenza n. 16424 del 21 novembre 2002.
I giudici di piazza Cavour hanno analizzato il tema dell’accesso domiciliare finalizzato alla verifica di violazioni tributarie stabilendo in primis che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica deve fondarsi sulla sussistenza di gravi indizi che devono presentare i caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dal codice civile e conseguentemente tali indizi non possono essere ancorati a dichiarazioni di provenienza ignota.
A tal riguardo la Cassazione ha anche specificato che la notizia di fonte non individuata e non individuabile non può assurgere a dignità d’indizio, aggiungendo che una dichiarazione senza paternità non rende noto alcun fatto e può lasciare spazio a congetture o illazioni.
Ciò vale anche qualora la denuncia anonima si presenti articolata e dettagliata nell’indicazione di circostanze potenzialmente riferibili al contribuente denunciato, considerato che, come ricorda la Suprema Corte, il sospetto non è un indizio, né tantomeno una prova.
In tal senso la Guardia di Finanza, sempre nel recente documento operativo di prassi, rimanendo sul medesimo crinale delle indicazioni fornite dagli ermellini ha rappresentato che l’accesso domiciliare finalizzato alla ricerca di violazioni tributarie non può essere il primo atto ispettivo dopo una denuncia anonima, occorrendo un minimo di indagine e di riscontro necessario ad acquisire la cognizione di fatti, sia pure dotati di semplice valore indiziario.
Infine giova segnalare un altro importante intervento della Corte Suprema sull’argomento qui trattato: la sentenza di cassazione civile, Sez. V, n. 21974 del 11 giugno 2009.
In questo caso la Cassazione ha dapprima ricordato che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista in presenza di gravi indizi di violazioni alle norme tributarie, costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo ed ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’Amministrazione finanziaria siano consistenti ed idonei ad integrare i gravi indizi, poi ha affermato che il giudice tributario ha il potere-dovere, tra le altre cose, anche di controllare la correttezza in diritto dell’apprezzamento dei gravi indizi indicati nella predetta autorizzazione e facendo ciò egli può negare la legittimità dell’autorizzazione se è stata emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando di conseguenza il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto delle eventuali prove reperite durante la perquisizione domiciliare.

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