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SOCIETÀ DI COMODO: IL FISCO DEVE PROVARE LA NON OPERATIVITÀ

Società di comodo: il Fisco deve provare la non operatività

Cassazione Civile Sentenza n. 12777/2016: In caso di “crisi” non è applicabile la disciplina delle società comodo.Il nuovo interpello

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Ad una società in “crisi” non è applicabile la disciplina delle società comodo; e tale considerazione può essere sufficiente a motivare l’annullamento della cartella di pagamento relativa al controllo automatizzato della dichiarazione.  La cartella esattoriale infatti,  può essere impugnata, ai sensi del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva. Ciò posto, qualora il contribuente contesti la fondatezza della pretesa impositiva, l'amministrazione è gravata dell'onere di provare la sussistenza dei relativi presupposti. Questo il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte con la sentenza del 21-06-2016, n. 12777.

IL CASO

La vicenda è quella di una società  che non avendo «barrato la casella contenuta nel rigo RF 55 del modello di dichiarazione che le avrebbe consentito di dichiararsi operativa e di sottrarsi, sotto sua responsabilità, alla presunzione di non operatività», e avendo «compilato la sezione di cui al quadro RF denominata «verifica dell'operatività e determinazione del reddito imponibile minimo dei soggetti non operativi», si era vista notificare una cartella di pagamento, ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, «emessa ... a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione» dei redditi.

La Commissione Tributaria provinciale  di Napoli accoglieva le doglianze della ricorrente e per l’effetto decretava la nullità della cartella impugnata; analogo verdetto in appello. A giudizio della Regionale, infatti, la circostanza, affermata nell'atto d'appello, che il contribuente sarebbe stato "informato con largo anticipo della pretesa tributaria vantata nei suoi confronti" e soprattutto sarebbe stato "messo in condizione di poter esercitare il suo diritto di difesa" non basta ad integrare “il diverso adempimento richiesto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 37, punto 4, a mente del quale l'accertamento "è effettuato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente, anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro sessanta giorni dalla data di ricezione della richiesta";

La stessa norma prevede che "se il reddito dichiarato dalle società o dagli enti che si presumono non operativi risulta inferiore a quello minimo di cui al comma 3, il reddito può essere determinato induttivamente in misura pari a quella presunta, anche mediante l'applicazione delle disposizioni di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis", pertanto, concludono i giudici di merito,  non ci sono le condizioni  per il ricorso all'art. 36-bis cit. Da qui la prosecuzione del giudizio dinanzi alla Suprema Corte su ricorso dell’Agenzia .

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1) DISAPPLICAZIONE DEL REGIME DELLE SOCIETÀ DI COMODO E NUOVO INTERPELLO PROBATORIO

L' art. 30 della L. n. 724/1994 - più volte modificato negli anni, contiene la disciplina delle società non operative, intendendosi per tali quei soggetti, aventi la forma societaria (di capitali e/o di persone), che, salvo prova contraria, conseguono un ammontare di ricavi inferiore alla somma degli importi risultanti dall'applicazione dei coefficienti stabiliti dalla medesima disposizione.

Trattasi, in sostanza, di una norma antielusiva - basata sul presupposto che alcuni beni patrimoniali siano in grado, in modo oggettivo, di generare un livello minimo di reddito - atta a disincentivare il ricorso all'utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l'effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società. La predetta disposizione intende cioè penalizzare quelle società che, al di là dell'oggetto sociale dichiarato, sono state costituite per gestire il patrimonio nell'interesse dei soci, anziché per esercitare un'effettiva attività commerciale.  Tali soggetti, quindi, al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma, sono considerati "di comodo" e, di conseguenza, sono assoggettati alla disciplina delle società non operative ed ai relativi adempimenti, compresi la liquidazione e, qualora siano soggetti Ires, al versamento dell'imposta con aliquota maggiorata del 10,5%, passando dal 27,5% al 38% (cfr. circolare n. 7/E del 2013, paragrafo 6). Ai fini Iva, invece, la non operatività comporta l'impossibilità di chiedere a rimborso, utilizzare in compensazione o di cedere l'eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione. (....)

È fatta salva la possibilità, per il contribuente - presentando istanza di disapplicazione ai sensi dell' art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/1973 (cd. interpello disapplicativo), almeno 90 giorni prima della scadenza del termine ordinario per presentare la dichiarazione dei redditi (cfr. circolare n. 32/E del 2010) - di fornire prova contraria e di dimostrare all'Amministrazione finanziaria le situazioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività ovvero le cause che hanno determinato il verificarsi di perdite fiscali sistematiche.

Al riguardo, la Cassazione ha ritenuto che il parere reso a seguito di istanza di interpello disapplicativo presentata dal contribuente costituisca un atto impugnabile di fronte alle Commissioni tributarie, in quanto trattasi, in sostanza, di un diniego di agevolazione (sentenza n. 8663 del 2011). Tuttavia, la stessa Corte Suprema ha precisato che il contribuente ha la facoltà, non l'onere, di impugnare il diniego dell'Amministrazione finanziaria di disapplicazione, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall' art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ma un provvedimento con cui l'Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario (sentenza n. 6200 del 2015; n. 17010 del 2012).

Per l'Agenzia delle Entrate, invece, deve escludersi la possibilità di impugnare immediatamente il provvedimento di diniego emesso dal Direttore regionale in quanto lo stesso non rientra tra gli atti impugnabili di cui all'art. 19 (cfr. circolare n. 5/E del 2007).

Nella circolare n. 32/E del 2010, l'Amministrazione finanziaria, discostandosi dai precedenti orientamenti (cfr. circolare n. 7/E del 2009), ha inoltre chiarito che avverso l'eventuale avviso di accertamento può essere proposto ricorso anche se il contribuente non ha presentato istanza di interpello disapplicativo. La circolare n. 32/E del 2010 ribadisce, inoltre, l'obbligatorietà dell'interpello disapplicativo laddove prevede, a carico di chi non lo presenta, l'irrogazione della sanzione amministrativa prevista dall' art. 11, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 471/1997 (da 258,00 a 2.065,00 euro), diversamente graduata dagli Uffici tenuto conto della situazione riscontrata.

In ordine a tali contrasti, giova ricordare che l'art. 7 del D.Lgs. n. 156/2015, di revisione della disciplina degli interpelli, modifica l'art. 30, comma 4-quater, della Legge n. 724/1994, disponendo che, in presenza di situazioni oggettive che hanno impedito di conseguire ricavi nell'ammontare minimo, le società di comodo possono disapplicare la norma anche senza l'interpello di cui al comma 4-bis (ovvero in presenza di risposta negativa all'interpello) segnalando la propria posizione nella dichiarazione dei redditi. (...)

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