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LAVORATORI ESPATRIATI - IL CONCETTO DEI 183 GIORNI

Vale1968

Utente
Gent.mo rag. Rodella, in riferimento alle retribuzioni convenzionali ex art. 51 comma 8bis del TUIR le vorrei esporre un quesito in merito alle diversa interpretazione, tra norma convenzionale OCSE e normativa interna, sulle modalità di calcolo del requisito temporale dei 183 giorni con la conseguente esclusione da tassazione di una parte del reddito da lavoro dipendente.

Si prenda ad esempio la Convenzione Italia Germania. Se un dipendente residente in Italia soggiorna e lavora in Germania per più di 183 il potere impositivo dovrebbe spettare alla Germania e l’Italia dovrebbe riconoscere il credito d’imposta. Se poi l'attività svolta dal dipendente rientra in uno dei settori economici previsti nel decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, il lavoratore italiano potrebbe beneficiare del reddito convenzionale.

Quindi il computo dei 183 giorni può modificare notevolmente le modalità ed il luogo di tassazione del reddito da lavoro dipendete.

L’interpretazione sulle metodologie di calcolo tra la norma convenzionale e la norma interna sono differenti. Mi spiego meglio. La Convenzione contro le doppie imposizioni applica il metodo dei giorni di presenza fisica nello Stato estero – circolare 201 del 1996 -, mentre ai fini del computo dei 183 giorni di presenza all’estero cui fa riferimento l’art. 51 comma 8 bis del TUIR, rilevano, in ogni caso, il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali, e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi (circ. 207/2000).

Questa disomogeneità potrebbe comportare che, ad esempio la persona fisica residente in Italia assunto con contratto triennale da un’azienda tedesca con incarico di svolgere la sua attività principalmente in Germania ma in trasferta anche in altri paesi, tra i quali l’Italia, non raggiunga, con il metodo di calcolo stabilito dalla convenzione contro le doppie imposizioni, il requisito temporale dei 183 giorni di effettiva presenza fisica in Germania. Quindi il fisco tedesco tasserà solo il reddito effettivamente prodotto in Germania, ad esempio per 130 giorni su un totale di 215 giorni lavorati in un anno. In Italia il dipendete dichiara il reddito convenzionale in quanto i requisiti richiesti sembrerebbero essere soddisfatti (residente in Italia, assunto con contratto per lavoro prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendente e con soggiorno nello Stato estero per un periodo superiore ai 183 giorni, calcolati, come detto, in base all’interpretazione fornita dal Ministero delle Finanze con la Circolare 207 del 2000).

Appare evidente che una rilevante quota del reddito di lavoro dipendente percepito dalla predetta persona fisica (sui restanti 85 giorni lavorati) sembrerebbe sfuggire ad imposizione fiscale sia in Germania che in Italia.

Tenuto conto che la Germania sottopone a tassazione solo la parte del reddito da lavoro dipendente prodotto in Germania (in quanto inferiore a 183 giorni), le chiedo se la restante quota avrebbe dovuto essere dichiarata in Italia dal contribuente nazionale o se si possa ritenere assorbita dal reddito convenzionale.
 
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