Riferimento: circoli privati...
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CASSAZIONE SENTENZA N. 19010 DEL 28 SETTEMBRE 2005
La gestione di un bar da parte di un circolo culturale:
costituisce attività di natura commerciale imponibile qualora le caratteristiche del bar
(accesso sulla strada all'esterno del circolo; apposizione di insegne pubblicitarie; praticare
prezzi di poco inferiori a quelli di mercato; corrispettivi superiori ai costi di diretta
imputazione) evidenzino la non accessorietà al fine istituzionale del circolo.
la Commissione tributaria regionale ha quindi rammentato che:
1) l'art. 87 del Tuir dispone che sono soggetti ad Irpeg anche gli enti pubblici o privati che non hanno oggetto esclusivo o
principale attività commerciale o che producono redditi di impresa;
2) l'art. 108 stabilisce che per gli enti non commerciali rientra nel reddito anche quello derivante da attività occasionale di
natura commerciale, precisando che non sono ascrivibili a reddito di impresa i corrispettivi delle prestazioni rese in
conformità ai fini istituzionali che non eccedono i costi di imputazione;
3) l'art. 4 del D.M. 17 dicembre 1992 dispone che i locali di circoli privati o enti in cui si somministrano bevande devono
essere ubicati all'interno delle strutture, non devono avere accesso dalla strada, piazza o altro luogo pubblico, e
all'esterno non devono esservi insegne-targhe o altre indicazioni che pubblicizzino l'attività di somministrazione ivi
esercitate. Ha concluso, infine, asserendo che nella specie il circolo ha ingresso dalla pubblica via ed esistono dèpliants
che reclamizzano gelati e bibite, il che lascia presumere che l'accesso al locale sia consentito anche ai non soci. A tutto
concedere, è pacifico che esiste un reddito derivante dall'attività con ricarico del 173 per cento, ottenuto praticando prezzi
di poco inferiori a quello di mercato, nè l'ente contribuente ha provato di aver tenuto regolare contabilità, da cui
emergesse che i corrispettivi non superavano i costi di diretta imputazione. Piuttosto è risultato, dalla verifica fiscale, che
è stata incassata la somma di lire 21.912.064 a fronte di un costo sostenuto in lire 8.022.000. In conclusione, la ratio
decidendi che sorregge l'esposta soluzione poggia sul dato, correttamente reputato decisivo, dell'accertata insussistenza
del nesso di accessorietà e complementarità tra la gestione del bar, pacificamente accertata, ed il fine istituzionale
dell'ente, che, ove fosse stato ravvisato, avrebbe esonerato l'attività considerata, che "oggettivamente" ha carattere
commerciale, dal pagamento del tributo controverso. L'approdo si fonda sull'apprezzamento delle circostanze di fatto
illustrate, che, ad avviso dell'organo di gravame, depongono nel senso di escludere la suddetta correlazione, la cui
sussistenza, nel paradigma della norma di riferimento contenuta nell'art. 111, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986,
rappresenta l'elemento risolutivo della fictio juris che consente di "non considerare" l'attività anzidetta, che è normalmente
lucrativa, di natura commerciale, e la sottrae pertanto all'imposizione fiscale. Il percorso argomentativo e motivazionale
della pronuncia impugnata, adeguatamente illustrato e perciò incensurabile in questa chiave, si sviluppa sul solco di una
corretta esegesi del paradigma normativo di riferimento della norma sopra indicata, nella cui voluntas legis, il discrimine
che segna il tratto distintivo fra le "cessioni di beni e le prestazioni di servizi verso pagamento di corrispettivi specifici
effettuate nei confronti degli associati", che di regola sono imponibili, e quelle che, pur essendo tali in astratto e per loro
stessa natura, sono invece esenti, è chiaramente rappresentato, ove esse vengano offerte dagli enti indicati, dalla loro
congruenza rispetto "alle finalità istituzionali" dell'ente stesso, al cui perseguimento devono risultare - in un qualsiasi modo
- anche indiretto, strumentali. Questo snodo decisivo, che presuppone chiaramente, come si è rilevato, che si discuta in
materia di attività commerciale, presuppone per la sua soluzione la verifica, in concreto, delle modalità del suo esercizio in
rapporto allo scopo associativo, che, si ribadisce, la Commissione di gravame ha condotto con percorso adeguatamente e
razionalmente motivato, e perciò incensurabile.
La gestione, da parte di un circolo sportivo culturale, di un bar
è attività commerciale
gli incassi sono imponibili in quanto si tratta di attività non rientrante tra le finalità
culturali e sportive agevolate dalla legge.
infatti, in via generale, come effettuate nell'esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da
associazioni che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, e, per le altre associazioni,
reputa effettuate nell'esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati, ove rese verso il
pagamento di un corrispettivo o di uno specifico contributo supplementare. In via di eccezione, esclude dalla
qualificazione di prestazione fatta nell'esercizio di attività commerciale, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a
condizione che siano "effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria,
religiose, assistenziali, culturali e sportive".
Lo schema utilizzato e la correlazione logica tra le diverse previsioni ha indotto, ragionevolmente, a ritenere che solo le
prestazioni ed i servizi che realizzino le finalità istituzionali senza specifica organizzazione e verso pagamento di
corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, non vanno considerate effettuate nell'esercizio di attività
commerciale e, quindi, non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti deve ritenersi rientri nel
regime impositivo (Cass., Sez. trib., n. 3850 del 29 marzo 2000; n. 6340 del 3 maggio 2002).
Applicando tali principi, al caso in esame, peraltro, in coerenza a pregresso condiviso orientamento, deve escludersi che,
nel caso, ricorrano i presupposti per la relativa riconducibilità alla previsione eccettuata, desumendosi dagli atti in esame
e dall'impugnata sentenza che l'attività di gestione, era stata organizzata dall'associazione e gestita tramite apposito
esercizio adibito a bar, e che, d'altronde, le cessioni di beni e la prestazione di servizi venivano effettuate verso
pagamento di corrispettivi di poco inferiori a quelli praticati da pubblici esercizi. L'attività espletata andava, dunque, per
ciò solo, qualificata commerciale e, quindi, rilevante a fini impositivi (Cass., Sez. trib., 29 marzo 2000, n. 3850).
Vi è, altresì, da aggiungere che, nel caso, la Commissione di appello, con valutazione in fatto, non censurabile in questa
sede, ha escluso che l'attività svolta potesse ritenersi coerente con i fini istituzionali dell'ente, tenuto conto che il circolo
in questione era sprovvisto di statuto e che, d'altronde, la gestione del bar non poteva, comunque, farsi rientrare tra le
finalità culturali e ricreative, che il circolo sosteneva di perseguire in base all'affiliazione all'Arci.
Peraltro, deve escludersi che essa possa ricondursi, per via interpretativa, alla previsione premiale, ostandovi, per un
verso, il fatto che trattandosi di speciale disposizione di esenzione dal regime ordinario di imposizione, non è consentita
una interpretazione estensiva che ampli i casi eccettuati, e, sotto altro profilo, perchè si rivelerebbe contraria alla ratio
legis ed al criterio logico una interpretazione che ritenesse di estendere i benefici fiscali previsti per le attività svolte in
conformità alle finalità istituzionali, alle cosiddette "attività accessorie."
Non sfugge, in vero, che per questa via, la specificità della previsione sarebbe vanificata e rimessa all'unilaterale
decisione dell'ente, là dove, invece, la legge ciò non consente, avendo ritenuto di considerare come non espletate
nell'esercizio di attività commerciali, solo "quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali". In buona sostanza,
deve ritenersi che esclusivamente le prestazioni ed i servizi che realizzano direttamente, nel rispetto delle riferite
modalità, le finalità istituzionali (quali, ad esempio, la messa a disposizione di un impianto sportivo, ove l'ente abbia tale
scopo, ovvero l'approntamento e la messa a disposizione di materiale didattico o l'organizzazione di visite a musei,
pinacoteche, eccetera, ove l'associazione persegua statutariamente scopi culturali) non debbano ritenersi effettuati
nell'esercizio di attività commerciale.
Ciò posto, irrilevante è a ritenersi l'ulteriore circostanza relativa ai soggetti (soci od estranei), cui la somministrazione
veniva effettuata, dovendo riconoscersi rilevanza impositiva anche alle cessioni fatte ai soci ove, come nel caso, l'attività
non rientri tra i fini istituzionali.
Nè a diverse conclusioni può indurre la doglianza sollevata con il quarto mezzo, sia perchè la produzione documentale è
preclusa dal disposto dell'art. 372 del codice di procedura civile, sia pure perchè il denunciato vizio di motivazione
sarebbe, comunque, irrilevante, posto che il giudicato, a tutto concedere, si sarebbe formato con riferimento ad altre
imposte e ad altre annualità. Quanto al contestato ricorso al metodo induttivo, la mancata tenuta delle scritture contabili e
l'accertata circostanza in merito ai costi sopportati per acquisto di merce commercializzata nella struttura, l'ammissione
dell'esistenza di un reddito derivante dalla gestione del Bar, sono elementi idonei, alla stregua di pregresse condivise
pronunce, per legittimare il ricorso al metodo previsto dall'art. 39 del D.P.R. n. 600/1973.