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circoli privati...

Bicia F

Utente
CIRCOLI PRIVATI, GESTIONE DI BAR APERTO AL PUBBLICO, ATTIVITÀ COMMERCIALE
Per la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, Sentenza del 20 ottobre 2008, n. 25462, il circolo che distribuisce bevande dietro il pagamento di un corrispettivo e che rilascia immediatamente le tessere a chi si presenta all’ingresso è di fatto aperto al pubblico, e pertanto ai fini dell’imposizione fiscale esercita un’attività commerciale.
La Corte ricorda, poi, che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l’attività di bar con mescita di bevande dietro corrispettivo specifico svolta da un circolo sportivo, culturale o ricreativo, anche se effettuata ai propri associati, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali del circolo stesso e deve ritenersi ai fini del trattamento tributario attività di natura commerciale.

buona serata :sun:
 

no limits

Utente
Riferimento: circoli privati...

Dillo che l'hai postata apposta per noi alcolisti incalliti associati in una pseudo Onlus e che in fondo in fondo je damo giù de brutto eh? A n'vidiosa!!!!!!
Ciao Fabrizia ora continuo a fare ciò che mi hai suggerito! Ma non eri scura di capelli? che ti sei invecchiata tutto insieme?
 

Bicia F

Utente
Riferimento: circoli privati...

Dillo che l'hai postata apposta per noi alcolisti incalliti associati in una pseudo Onlus e che in fondo in fondo je damo giù de brutto eh? A n'vidiosa!!!!!!
Ciao Fabrizia ora continuo a fare ciò che mi hai suggerito! Ma non eri scura di capelli? che ti sei invecchiata tutto insieme?
vedo che sei "ancora" pronta eh?:D
ma che fai a quest'ora nn dovevi esser già in cammino?...
i capelli?...la neve barbara, sta scendendo la neve...:confused:
 

lella

Utente
Riferimento: circoli privati...

io ho trovato questo...


ART. 4, DPR N. 633
E’ soggetta IVA
La somministrazione di alimenti e bevande, svolte nell'ambito di un circolo se espletata
attraverso la gestione di un bar i cui prezzi praticati eccedono i costi di diretta
imputazione e sono quasi pari a quelli praticati nei pubblici esercizi.
L'attività di somministrazione di bevande ed alimenti non rientra nell'attività culturale e
ricreativa svolta istituzionalmente dal circolo e gli incassi non possono essere qualificati
contributi aggiuntivi al pagamento della quota annuale di iscrizione al circolo.
CASSAZIONE - SENTENZA DEL 13.1.2004, N. 280
Per un ente non commerciale avente finalità istituzionali culturali, ricreative, sportive e
assistenziale (nella fattispecie un circolo ricreativo) esercente anche l'attività di bar
se svolge una prestazione conforme alle finalità istituzionali all'interno di un circolo
(il servizio di bar è complementare alla sussistenza del carattere ricreativo)
le cessione di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti di soci, associati, tesserati sono escluse da IVA.
L'attività di bar all'interno di un circolo che persegue finalità istituzionali di tipo culturale,
ricreativo, sportivo e assistenziale
non è soggetta ad IVA
è prestazione per finalità istituzionale, in quanto deve considerarsi complementare
ed accessoria allo spirito ricreativo del circolo.
CASSAZIONE SENTENZA 20 SETTEMBRE 2005, N. 18563
L'attività di somministrazione di alimenti e bevande all'interno di un circolo ricreativo
non è soggetta ad IVA.
È chiaro infatti, che nella voluntas legis, il discrimine che segna il tratto distintivo fra le prestazioni commerciali,
che sono in astratto imponibili, e quelle che, pur essendo tali, sono tuttavia esenti, è rappresentato, ove
vengano offerte dagli enti indicati, dalla congruenza fra le stesse e la finalità istituzionale dell'ente stesso, ai cui
perseguimento devono risultare - in un qualsiasi modo - anche indiretto, strumentali. Questo snodo decisivo, che
presuppone chiaramente che si discuta in materia di attività oggettivamente commerciale e pertanto lucrativa,
presuppone per la sua soluzione la verifica, in concreto, delle modalità del suo esercizio in rapporto allo scopo
associativo, che la Commissione di gravame ha condotto con percorso adeguatamente e razionalmente motivato.
 

lella

Utente
Riferimento: circoli privati...

segue....
CASSAZIONE SENTENZA N. 19010 DEL 28 SETTEMBRE 2005
La gestione di un bar da parte di un circolo culturale:
costituisce attività di natura commerciale imponibile qualora le caratteristiche del bar
(accesso sulla strada all'esterno del circolo; apposizione di insegne pubblicitarie; praticare
prezzi di poco inferiori a quelli di mercato; corrispettivi superiori ai costi di diretta
imputazione) evidenzino la non accessorietà al fine istituzionale del circolo.
la Commissione tributaria regionale ha quindi rammentato che:
1) l'art. 87 del Tuir dispone che sono soggetti ad Irpeg anche gli enti pubblici o privati che non hanno oggetto esclusivo o
principale attività commerciale o che producono redditi di impresa;
2) l'art. 108 stabilisce che per gli enti non commerciali rientra nel reddito anche quello derivante da attività occasionale di
natura commerciale, precisando che non sono ascrivibili a reddito di impresa i corrispettivi delle prestazioni rese in
conformità ai fini istituzionali che non eccedono i costi di imputazione;
3) l'art. 4 del D.M. 17 dicembre 1992 dispone che i locali di circoli privati o enti in cui si somministrano bevande devono
essere ubicati all'interno delle strutture, non devono avere accesso dalla strada, piazza o altro luogo pubblico, e
all'esterno non devono esservi insegne-targhe o altre indicazioni che pubblicizzino l'attività di somministrazione ivi
esercitate. Ha concluso, infine, asserendo che nella specie il circolo ha ingresso dalla pubblica via ed esistono dèpliants
che reclamizzano gelati e bibite, il che lascia presumere che l'accesso al locale sia consentito anche ai non soci. A tutto
concedere, è pacifico che esiste un reddito derivante dall'attività con ricarico del 173 per cento, ottenuto praticando prezzi
di poco inferiori a quello di mercato, nè l'ente contribuente ha provato di aver tenuto regolare contabilità, da cui
emergesse che i corrispettivi non superavano i costi di diretta imputazione. Piuttosto è risultato, dalla verifica fiscale, che
è stata incassata la somma di lire 21.912.064 a fronte di un costo sostenuto in lire 8.022.000. In conclusione, la ratio
decidendi che sorregge l'esposta soluzione poggia sul dato, correttamente reputato decisivo, dell'accertata insussistenza
del nesso di accessorietà e complementarità tra la gestione del bar, pacificamente accertata, ed il fine istituzionale
dell'ente, che, ove fosse stato ravvisato, avrebbe esonerato l'attività considerata, che "oggettivamente" ha carattere
commerciale, dal pagamento del tributo controverso. L'approdo si fonda sull'apprezzamento delle circostanze di fatto
illustrate, che, ad avviso dell'organo di gravame, depongono nel senso di escludere la suddetta correlazione, la cui
sussistenza, nel paradigma della norma di riferimento contenuta nell'art. 111, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986,
rappresenta l'elemento risolutivo della fictio juris che consente di "non considerare" l'attività anzidetta, che è normalmente
lucrativa, di natura commerciale, e la sottrae pertanto all'imposizione fiscale. Il percorso argomentativo e motivazionale
della pronuncia impugnata, adeguatamente illustrato e perciò incensurabile in questa chiave, si sviluppa sul solco di una
corretta esegesi del paradigma normativo di riferimento della norma sopra indicata, nella cui voluntas legis, il discrimine
che segna il tratto distintivo fra le "cessioni di beni e le prestazioni di servizi verso pagamento di corrispettivi specifici
effettuate nei confronti degli associati", che di regola sono imponibili, e quelle che, pur essendo tali in astratto e per loro
stessa natura, sono invece esenti, è chiaramente rappresentato, ove esse vengano offerte dagli enti indicati, dalla loro
congruenza rispetto "alle finalità istituzionali" dell'ente stesso, al cui perseguimento devono risultare - in un qualsiasi modo
- anche indiretto, strumentali. Questo snodo decisivo, che presuppone chiaramente, come si è rilevato, che si discuta in
materia di attività commerciale, presuppone per la sua soluzione la verifica, in concreto, delle modalità del suo esercizio in
rapporto allo scopo associativo, che, si ribadisce, la Commissione di gravame ha condotto con percorso adeguatamente e
razionalmente motivato, e perciò incensurabile.
La gestione, da parte di un circolo sportivo culturale, di un bar
è attività commerciale
gli incassi sono imponibili in quanto si tratta di attività non rientrante tra le finalità
culturali e sportive agevolate dalla legge.
infatti, in via generale, come effettuate nell'esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da
associazioni che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, e, per le altre associazioni,
reputa effettuate nell'esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati, ove rese verso il
pagamento di un corrispettivo o di uno specifico contributo supplementare. In via di eccezione, esclude dalla
qualificazione di prestazione fatta nell'esercizio di attività commerciale, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a
condizione che siano "effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria,
religiose, assistenziali, culturali e sportive".
Lo schema utilizzato e la correlazione logica tra le diverse previsioni ha indotto, ragionevolmente, a ritenere che solo le
prestazioni ed i servizi che realizzino le finalità istituzionali senza specifica organizzazione e verso pagamento di
corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, non vanno considerate effettuate nell'esercizio di attività
commerciale e, quindi, non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti deve ritenersi rientri nel
regime impositivo (Cass., Sez. trib., n. 3850 del 29 marzo 2000; n. 6340 del 3 maggio 2002).
Applicando tali principi, al caso in esame, peraltro, in coerenza a pregresso condiviso orientamento, deve escludersi che,
nel caso, ricorrano i presupposti per la relativa riconducibilità alla previsione eccettuata, desumendosi dagli atti in esame
e dall'impugnata sentenza che l'attività di gestione, era stata organizzata dall'associazione e gestita tramite apposito
esercizio adibito a bar, e che, d'altronde, le cessioni di beni e la prestazione di servizi venivano effettuate verso
pagamento di corrispettivi di poco inferiori a quelli praticati da pubblici esercizi. L'attività espletata andava, dunque, per
ciò solo, qualificata commerciale e, quindi, rilevante a fini impositivi (Cass., Sez. trib., 29 marzo 2000, n. 3850).
Vi è, altresì, da aggiungere che, nel caso, la Commissione di appello, con valutazione in fatto, non censurabile in questa
sede, ha escluso che l'attività svolta potesse ritenersi coerente con i fini istituzionali dell'ente, tenuto conto che il circolo
in questione era sprovvisto di statuto e che, d'altronde, la gestione del bar non poteva, comunque, farsi rientrare tra le
finalità culturali e ricreative, che il circolo sosteneva di perseguire in base all'affiliazione all'Arci.
Peraltro, deve escludersi che essa possa ricondursi, per via interpretativa, alla previsione premiale, ostandovi, per un
verso, il fatto che trattandosi di speciale disposizione di esenzione dal regime ordinario di imposizione, non è consentita
una interpretazione estensiva che ampli i casi eccettuati, e, sotto altro profilo, perchè si rivelerebbe contraria alla ratio
legis ed al criterio logico una interpretazione che ritenesse di estendere i benefici fiscali previsti per le attività svolte in
conformità alle finalità istituzionali, alle cosiddette "attività accessorie."
Non sfugge, in vero, che per questa via, la specificità della previsione sarebbe vanificata e rimessa all'unilaterale
decisione dell'ente, là dove, invece, la legge ciò non consente, avendo ritenuto di considerare come non espletate
nell'esercizio di attività commerciali, solo "quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali". In buona sostanza,
deve ritenersi che esclusivamente le prestazioni ed i servizi che realizzano direttamente, nel rispetto delle riferite
modalità, le finalità istituzionali (quali, ad esempio, la messa a disposizione di un impianto sportivo, ove l'ente abbia tale
scopo, ovvero l'approntamento e la messa a disposizione di materiale didattico o l'organizzazione di visite a musei,
pinacoteche, eccetera, ove l'associazione persegua statutariamente scopi culturali) non debbano ritenersi effettuati
nell'esercizio di attività commerciale.
Ciò posto, irrilevante è a ritenersi l'ulteriore circostanza relativa ai soggetti (soci od estranei), cui la somministrazione
veniva effettuata, dovendo riconoscersi rilevanza impositiva anche alle cessioni fatte ai soci ove, come nel caso, l'attività
non rientri tra i fini istituzionali.
Nè a diverse conclusioni può indurre la doglianza sollevata con il quarto mezzo, sia perchè la produzione documentale è
preclusa dal disposto dell'art. 372 del codice di procedura civile, sia pure perchè il denunciato vizio di motivazione
sarebbe, comunque, irrilevante, posto che il giudicato, a tutto concedere, si sarebbe formato con riferimento ad altre
imposte e ad altre annualità. Quanto al contestato ricorso al metodo induttivo, la mancata tenuta delle scritture contabili e
l'accertata circostanza in merito ai costi sopportati per acquisto di merce commercializzata nella struttura, l'ammissione
dell'esistenza di un reddito derivante dalla gestione del Bar, sono elementi idonei, alla stregua di pregresse condivise
pronunce, per legittimare il ricorso al metodo previsto dall'art. 39 del D.P.R. n. 600/1973.
 

lella

Utente
Riferimento: circoli privati...

pag.n.3



Deve, in vero, ritenersi che, in ipotesi, la legge abiliti l'ufficio a servirsi di qualsiasi elemento probatorio, ai fini
dell'accertamento e, quindi, a determinare il reddito anche con metodo induttivo utilizzando, in deroga alla regola
generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al terzo comma dell'art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, sul
presupposto dell'inferenza probabilistica dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti, da quelli noti.
Peraltro, nel caso, l'analisi della Commissione tributaria regionale analizza elementi certi, quali l'ammissione
dell'esistenza del reddito, l'omessa tenuta dei registri e l'espletamento di concrete operazioni commerciali (acquisto e
vendita di merce), idonei a ritenere acquisita una prova per presunzioni semplici in ordine alla pretesa tributaria azionata
 
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