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SVALUTAZIONE DEGLI IMMOBILI MERCE: TRATTAMENTO FISCALE PER OIC ADOPTER

Svalutazione degli immobili merce: trattamento fiscale per Oic adopter

Il trattamento ai fini IRES e IRAP della svalutazione degli immobili merce per i soggetti OIC adopter

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Il trattamento fiscale ai fini IRES ed IRAP della svalutazione degli immobili merce è caratterizzato, tuttora, da elementi di incertezza, sebbene l’Agenzia delle Entrate abbia affrontato la tematica, in ambito IRAP, con la risposta ad interpello n.60/E del 19 febbraio 2020. Come mai?

Facciamo il punto della situazione, distinguendo a seconda che le imprese adottino i principi contabili nazionali (OIC) oppure quelli internazionali (IAS/IFRS), dal momento che l’aspetto contabile è un fattore importante per il trattamento fiscale della svalutazione, in particolare, in ambito IRAP. Il presente intervento è dedicato ai soggetti OIC; Se invece sei interessato alla Svalutazione degli immobili merce, sotto il profilo fiscale, per i soggetti IAS adopter ti consigliamo di leggere: Fiscalità della svalutazione degli immobili merce per gli IAS adopter.

1) Aspetti contabili

Per i soggetti Oic adopter, il principio contabile di riferimento è l’OIC 13 Rimanenze che detta i criteri per la rilevazione, la classificazione e la valutazione delle rimanenze di magazzino.

Gli immobili, se destinati alla vendita, sono classificati tra le rimanenze e definiti “immobili merce”. Si tratta, in particolare, di beni infungibili, cioè di beni che hanno caratteristiche uniche che li rendono non sostituibili con beni simili.

Per i beni infungibili, incluso gli immobili merce, l’OIC 13 stabilisce che:

  • le rimanenze sono valutate al minore tra il costo di acquisto o produzione e il valore di realizzazione desumibile dal mercato (articolo 2426, numero 9, del Cod.Civ.);
  • il costo specifico è l’unico metodo per la determinazione del costo, perché presuppone l’individuazione e l’attribuzione alle singole unità fisiche dei costi specificamente sostenuti per le unità medesime[1];
  • le rimanenze sono oggetto di svalutazione quando il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato è minore del relativo valore contabile;
  • la svalutazione è annullata nei limiti del costo originariamente sostenuto se ne vengono meno, in tutto o in parte, i presupposti (ad esempio per effetto dell’aumento del valore di realizzazione desumibile dal mercato).

La svalutazione e il ripristino della stessa sono allocati alla voce B11 Variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci dello schema di Conto Economico previsto dall’art. 2425 del Cod.Civ. (cfr. OIC 12 Composizione e schemi di bilancio).

[1] L’art. 2426, n. 10, del Cod.Civ. muovendo dall’assunto che per i beni fungibili l’applicazione del metodo del costo specifico comporterebbe problematiche gestionali, prevede che il costo di detti beni può essere determinato con il metodo della media ponderata, oppure con il LIFO (ultimo entrato, primo uscito) o il FIFO (primo entrato, primo uscito).

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2) Trattamento IRES

Per i soggetti che adottano i principi contabili nazionali, ai fini iRES, la norma di riferimento è l’art. 92 del TUIR, secondo cui la svalutazione dei beni fungibili valutati con metodi diversi dal costo specifico (costo medio, LIFO, FIFO e relative varianti) è soggetta a determinati limiti di deducibilità (commi 1 e 5). Diversamente, per i beni infungibili, valutati a costi specifici, nulla è detto espressamente circa la possibilità o meno di operare la svalutazione. Questo ha generato diverse tesi in dottrina, riconducibili a due orientamenti.

Secondo un primo orientamento, l’omesso richiamo del valore minimo fiscale dei beni unici, da parte del comma 5 dell’art. 92 TUIR, va inteso come riconoscimento sul piano fiscale delle disposizioni civilistiche in materia di svalutazione; ne consegue che le rettifiche di valore operate ai fini civilistici delle rimanenze di beni valutati a costi specifici assumono immediata rilevanza fiscale, in base al principio di derivazione, sancito dall’art. 83 del TUIR che attribuisce validità ai criteri civilistici in assenza di quelli propriamente fiscali. Questa è la tesi sostenuta anche dall’Associazione dei Dottori Commercialisti (ADC) di Milano, con la Norma di comportamento n. 168 di giugno 2007; a parere dell’ADC di Milano, la mancanza di esplicite disposizioni nell’art. 92 del TUIR sulla valutazione delle rimanenze di magazzino trattate a costi specifici, determina che anche per dette rimanenze si rende applicabile, per derivazione (art. 83 TUIR), il principio civilistico dell’art. 2426, n. 9 Cod. Civ., che prevede il confronto con il valore normale, come definito dall’art. 9 del TUIR.

In base al secondo orientamento, l’assenza di esplicite regole per la svalutazione dei beni valutati a costo specifico va intesa come volontà del legislatore di escludere la possibilità di ridurre il valore fiscale di detti beni; in tal caso la svalutazione degli immobili merce risulterebbe completamente indeducibile nell’esercizio in cui è rilevata nel bilancio civilistico; questa è la tesi sostenuta anche dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 78/E del 12 novembre 2013. Secondo l’Agenzia, per i beni fungibili, valutati secondo uno dei criteri riconosciuti dalla tecnica contabile, la svalutazione civilistica è riconosciuta fiscalmente nei limiti del valore normale medio dell'ultimo mese, in base al combinato disposto dei commi 1 e 5 dell’art. 92 TUIR; il mancato richiamo ai beni valutati al costo specifico (beni infungibili) determina l’irrilevanza fiscale della svalutazione, quando iscritta nel bilancio; naturalmente la svalutazione sarà deducibile al verificarsi dell’evento realizzativo che consiste, di norma, nella vendita.

Peraltro, con la successiva Circolare n.10/E del 14 maggio 2014 la stessa Agenzia delle Entrate, al punto 6.2, in tema di svalutazione delle rimanenze, ha precisato che coerentemente con il trattamento delle svalutazioni, anche le rivalutazioni dei beni infungibili, cioè i maggiori valori delle rimanenze di beni valutati a costo specifico, sono irrilevanti sul piano fiscale.

3) Trattamento IRAP

Per i soggetti Oic, dal 2008, la base imponibile dell’IRAP è determinata in maniera autonoma rispetto a quella dell’IRES: è stato introdotto il principio secondo cui il valore della produzione netta IRAP deriva dai saldi contabili (c.d. presa diretta), ad esclusione di alcune voci contabili e fattispecie che non rilevano, in conseguenza di specifiche disposizioni di legge[1].

Alla luce di detto principio, la dottrina maggioritaria ritiene che la svalutazione degli immobili merce sia deducibile sin dall’esercizio di rilevazione in bilancio, in quanto:

  • la svalutazione è contabilizzata nella voce B11 del Conto Economico, che costituisce voce rilevante per la determinazione dell’imponibile IRAP ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 446/97[2];
  • non si rinvengono norme specifiche che esplicitamente ne vietano la deducibilità.

 

Con la risposta ad interpello n.60/E del 19 febbraio 2020, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sulla rilevanza IRAP della svalutazione di un compendio immobiliare di una società che, di norma, iscrive gli immobili tra le rimanenze e li valuta in base all’art. 2426, co. 9 del Cod. Civ. (minore tra costo di acquisto e valore di realizzo). Nel documento di prassi non viene dato riconoscimento fiscale alla rettifica di valore degli immobili. Ma davvero l’Agenzia delle Entrate ritiene non rilevante ai fini IRAP la svalutazione degli immobili merce? Per rispondere alla domanda è necessario analizzare attentamente l’articolata fattispecie, anche e soprattutto alla luce della ricostruzione fatta proprio dall’Agenzia.

Il quesito è posto da una società (A) che ha come oggetto l'acquisizione e la successiva valorizzazione di immobili posti a garanzia di crediti vantati dalle società del gruppo cui l’istante stesso fa parte. Gli immobili, di norma, vengono iscritti a magazzino al costo d'acquisto comprensivo degli oneri accessori e, al termine dell'esercizio, sono valutati al minor valore tra il costo di acquisto e quello di presumibile realizzo (art. 2426, co.9 del Cod. Civ. e OIC 13). L’istante, nello specifico, ha acquisito, a seguito di una datio in solutum, per l’estinzione di un credito garantito da ipoteca, un compendio immobiliare che ha svalutato in base al valore di presumibile realizzo, determinato con apposita perizia. Tanto premesso l’istante ha chiesto chiarimenti in ordine alle modalità di determinazione del valore della produzione netta IRAP ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. del 15 dicembre 1997, n. 446 (decreto IRAP), con particolare riferimento alla voce B11) del conto economico, che accoglie la svalutazione contabilizzata in base alle regole civilistiche. L’istante ritiene che la svalutazione sia deducibile in base al principio della c.d. “presa diretta”.

L’Agenzia delle Entrate, prima di fornire il proprio parere, riassume l’operazione nel modo seguente:

  • la società (B) facente parte di un Gruppo, cui appartiene anche l’istante (A), vanta un credito nei confronti di un terzo debitore (C);
  • B e C sottoscrivono un accordo para-concordatario con cui, tra l’altro, viene quantificato il valore nominale del credito e B accetta che il proprio credito sia integralmente soddisfatto mediante datio in solutum di determinate unità immobiliari di proprietà di C;
  • dopo la sottoscrizione dell’accordo, C viene ammesso alla procedura di concordato preventivo;
  • successivamente B cede pro-soluto all’istante A il credito per il suo intero ammontare, comprensivo della garanzia ipotecaria e delle altre garanzie previste, a un prezzo inferiore al valore nominale, corrispondente al presumibile valore di realizzo degli immobili (come risulta da apposita perizia redatta da un’altra società del gruppo); in altri termini, già al momento dell'acquisto del credito, A tiene conto del minor valore di mercato degli immobili rispetto al valore nominale del credito, nonché degli altri costi da sostenere nell'ambito della datio in solutum e per la vendita degli immobili;
  • all'atto dell'acquisto degli immobili mediante datio in solutum, il trasferimento avviene per un importo pari al valore nominale del credito che si è voluto estinguere, per evitare che la differenza di valore (corrispondente alla parte di credito non soddisfatta) ricada nell’ambito della procedura di concordato, per cui gli immobili sono inizialmente iscritti per il valore indicato nell'atto di trasferimento e, subito dopo, svalutati per adeguare il loro valore a quello stimato nella perizia appositamente disposta.

Dopo aver operato la suindicata ricostruzione, l’Agenzia rileva che “l’ulteriore circostanza che il trasferimento delle unità immobiliari (in luogo dell'adempimento dell'obbligazione pecuniaria) è avvenuto in misura pari al valore nominale del credito esclusivamente per esigenze connesse alla procedura concordataria (…) ha comportato la necessità di un riallineamento (pressoché contestuale) del valore del compendio immobiliare trasferito, funzionale a evidenziare il reale controvalore ricevuto per l'estinzione del credito (..) più che un "deprezzamento" postumo del compendio medesimo. La conclusione a cui l’Agenzia giunge è che “senza entrare nel merito dei criteri di qualificazione, contabilizzazione e valutazione adottati in sede di redazione del bilancio, si ritiene pertanto che l'operazione realizzata a fini di mera rettifica del controvalore delle unità immobiliari ricevute non possa trovare alcun riconoscimento fiscale; infine, la stessa Agenzia precisa che “il presente parere assorbe ogni valutazione in merito alla portata applicativa dell'articolo 5 del d.lgs. n. 446 del 1997, per come invocata dal contribuente.

 

Dalla ricostruzione e dalle conclusioni della fattispecie pare si possa ricavare che l’Agenzia non ritiene che la svalutazione degli immobili merce sia indeducibile ai fini IRAP. Ciò per i seguenti motivi:

  1. tale ultima affermazione non è rinvenibile esplicitamente nel testo del documento;
  2. l’Agenzia si limita a sostenere l’indeducibilità di un costo che probabilmente non ha la natura di una svalutazione di rimanenze (costituite da immobili); infatti nella risposta si legge chiaramente che l’operazione ha determinato il riallineamento del valore del compendio immobiliare a quello attribuito al credito acquisito, piuttosto che un deprezzamento delle rimanenze successivo all’iniziale iscrizione delle stesse;
  3. la precisazione secondo cui il “parere assorbe la valutazione circa l’applicazione dell’art. 5 del d.lgs. 446/97, per come invocata dall’istante”, lascia intendere che l’Agenzia non abbia fornito la risposta alla specifica richiesta di chiarimenti dell’istante, per cui, in assenza di una risposta, continua ad essere valido, anche per l’Agenzia, il principio della “presa diretta” della base imponibile IRAP dalle risultanze del bilancio (art. 5. co.1 d.lgs. 446/97), a condizione che la qualificazione, la classificazione e l’imputazione temporale avvenga nel rispetto dei principi contabili adottati dall’impresa (così il co.5 del citato art. 5)[3] 

 

Peraltro, la risposta appare anche coerente con la presumibile rappresentazione contabile dell’operazione sopradescritta, in capo al soggetto cedente (B) e cessionario (A) del credito. Non è da escludere, infatti, che il cedente (B), dopo l’iscrizione del credito per il suo valore nominale, abbia contabilizzato, in occasione della cessione pro-soluto, nel proprio bilancio, una perdita pari alla differenza tra il valore nominale del credito e il prezzo di cessione; detta differenza avrebbe riconoscimento anche fiscale, in quanto l’operazione di cessione pro-soluto ha effetto realizzativo. Se così fosse, l’eventuale riconoscimento fiscale del componente negativo di reddito iscritto nel bilancio dell’istante e cessionario (A), determinerebbe un fenomeno di doppia deduzione di un costo che, seppur in capo a due soggetti diversi, ha, nella sostanza, la medesima origine.

[1] Fino al 31.12.2007 le variazioni apportate alla base imponibile IRES rilevavano anche ai fini IRAP; l’abrogato art. 11bis del D.Lgs 446/1997, stabiliva che i componenti positivi e negativi che concorrono alla formazione del valore della produzione, si assumono apportando ad essi le variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi; pertanto, per i beni infungibili, valutati al costo specifico, la svalutazione, non deducibile ai fini IRES, risultava non rilevante anche ai fini IRAP.

[2] Secondo l’art. 5, co.1 del d.lgs. 446/97, per le società di capitali diverse da banche e assicurazioni la base imponibile è costituita “dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell'articolo 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10), lettere c) e d), 12) e 13),…. così come risultanti dal conto economico dell'esercizio”.

[3] L’art. 5, co. 5 del d.lgs. 446/97 stabilisce che indipendentemente dalla effettiva collocazione nel conto economico, i componenti positivi e negativi del valore della produzione sono accertati secondo i criteri di corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili adottati dall'impresa.

4) Conclusioni

In ambito IRES non vi sono significativi dubbi sul trattamento fiscale della svalutazione degli immobili merce: la dottrina prevalente e la prassi dell’Agenzia delle Entrate concordano per la indeducibilità della svalutazione nell’esercizio di rilevazione in bilancio; naturalmente la svalutazione si renderà deducibile quando si verifica un evento realizzativo che consiste, di norma, nella vendita oppure nel caso di ripristino contabile del valore (in quest’ultimo caso, il maggior valore del bene contabilizzato nella voce B11 darà luogo a una variazione in diminuzione che riduce la base imponibile, trattandosi di componente positivo di reddito fiscalmente non imponibile, in quanto correlato a un onere non dedotto nella fase di rilevazione dell’impairment).

Circa il trattamento ai fini IRAP, risulta tuttora prevalente la tesi della migliore dottrina che è concorde nel ritenere deducibile la svalutazione al momento della rilevazione in bilancio.

L’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, si è espressa (risposta ad interpello n. 60/E/2020) concludendo per la indeducibilità di un componente negativo di reddito che non pare affatto avere la natura di impairment (come illustrato in precedenza).

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