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GIUSTIZIA TRIBUTARIA: LA SPERANZA DI UNA RIFORMA

Giustizia tributaria: la speranza di una riforma

L’inaugurazione dell’anno giudiziario tributario a Torino ci da l’occasione per alcune considerazioni sulla grave situazione della Giustizia Tributaria

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Il 28 marzo 2015 si è tenuta presso il Tribunale di Torino la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario tributario 2015.
La Relazione del Presidente della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, Vittorio Garino, precisa e puntuale nei contenuti, ha nuovamente posto in risalto la gravissima situazione della Giustizia Tributaria evidenziando, per converso, i profili di produttività e qualità dei Giudici impegnati – in termini di “quasi volontariato” – a gestire carenze e difficoltà conseguenza di scelte legislative drammaticamente errate. L’avverbio “nuovamente” chiarisce come la reiterazione delle proposte, delle osservazioni e delle possibili soluzioni sia rimasta altrettanto drammaticamente inascoltata nel corso degli anni.
Non può certamente non stupire apprendere che - a fronte di compensi risibili ( esclusi per la fase processuale relativa alla richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’atto impugnato dal contribuente ) e carenze di organico - i tempi medi di definizione del processo per ciascun grado sono di circa 12/14 mesi. Ciò che si traduce , frequentemente, nella fissazione dell’udienza di trattazione a pochi mesi dal deposito del ricorso e delle successive controdeduzioni.
L’analisi del tempo medio per un processo tributario, a livello nazionale, rileva che nel 2013 esso è durato in media 1.043 giorni (2 anni e 10 mesi) nelle Commissioni tributarie provinciali e 730 giorni (2 anni) nelle Commissioni tributarie regionali (per una completa analisi dei dati del contenzioso tributario si rimanda al sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
I dati positivi della Regione Piemonte assumono un valore ancora maggiore se si considera lo “stato dell’arte” della normativa sostanziale e processuale tributaria, nonchè i profili ordinamentali che regolano la posizione dei Giudici.

1) Difficoltà di interpretazione delle norme fiscali anche per i giudici

Correttamente il Presidente della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte ha sottolineato le difficoltà interpretative ed applicative di una disciplina fiscale sostanziale fumosa e complessa.
Interessante , sul punto, l’interrogativo posto all’attenzione della platea e, quindi, delle istituzioni e che merita di essere riportato: Peraltro la materia trattata dalle Commissioni Tributarie è tra le più difficili anche per la ( voluta? ) fumosità e complessità della disciplina normativa…
L’argomento richiederebbe una estesa trattazione, ma è interessante osservare come l’attuale sovrapproduzione normativa, assai carente in termini di chiarezza e leggibilità, abbia avuto l’effetto di realizzare una situazione di conflitto , all’interno del quale vi è una disinvolta agibilità per il contribuente “non trasparente” ed una oggettiva difficoltà per coloro che, correttamente, pretenderebbero rapporti coerenti e trasparenti con il Fisco.
L’onere della risoluzione del conflitto - anche nei casi più semplici che dovrebbero trovare una definizione anticipata a quella del processo - ricade interamente sulla Giustizia Tributaria. Si tratta di un effetto devastante, in termini pratici, e culturalmente inaccettabile. Non può essere posto sulle spalle del Giudice ciò che è compito del legislatore ( che avrebbe il dovere di disciplinare in maniera chiara la norma impositiva ) e dell’organizzazione del rapporto contribuente/fisco.
Si tratta di temi che ben difficilmente verranno risolti in seno all’attuazione della delega fiscale che, in ragione dei continui rinvii, pare ripercorrere la trama di Aspettando Godot di Beckett.
A ciò si aggiunga la “sfida” di recente lanciata dalle Corti Sovranazionali in materia di divieto di ne bis in idem tra processo amministrativo e penale. Argomento , quest’ultimo, assai delicato atteso l’avvenuto rinvio alla Corte Costituzionale di questioni di legittimità costituzionale sul dictum espresso dalla CEDU
Nell’ultimo biennio alcune pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo - intervenendo sull’interpretazione del divieto del ne bis in idem di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7 della Con-venzione - hanno posto questioni di non secondario rilievo sugli effetti, sui limiti e sulla natura delle sanzioni amministrative coeve a quelle penali a fronte di un medesimo “fatto” ascritto ad unico soggetto. Le decisioni dei Giudici di Strasburgo muovono, evidentemente, dalla ammissibilità (e compatibilità) di due distinti piani processuali ( ognuno dei quali finalizzati ad accertamento e irrogazione della “pena” ) per lo stesso thema decidendum. Espressione quest’ultima che già impegna l’interprete a misurare la differenza tra medesimezza di fattispecie e identità di “fatto storico”.
La Corte ( 20 maggio 2014 - caso Nikänen c. Finalndia, ) ha condannato lo Stato finlandese per violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione in relazione al doppio binario sanzionatorio (penale-amministrativo) presente nella legislazione tributaria finlandese. Questo a breve distanza dalla sentenza Grande Stevens c. Italia in tema di manipolazione del mercato, che già aveva ribadito orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati sia in relazione ai criteri per determinare la natura penale di una sanzione, che in materia di ne bis in idem.
In questo quadro un apertura verso le pronunce dei Giudici di Strasburgo è segnata dalla Cassazione Sezione V Penale - ordinanza. 10 novembre 2014 (dep. 15 gennaio 2015), Pres. Vessichelli, Rel. Caputo, Imp. Chiaron - che ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione all’art. 117 Costituzione, sulla vigente disciplina in materia di abuso di informazioni privilegiate, in riferimento al regime di 'doppio binario' sanzionatorio amministrativo e penale, per sospetto contrasto con gli obblighi discendenti dall'art. 4 Prot. 7 CEDU, come interpretato tra l'altro nella sentenza della Corte EDU Grande Stevens c. Italia.

2) L'inadeguatezza del compenso economico dei Giudici Tributari e la dipendenza dal Mef mina l'imparzialità

Questa breve disamina consente di adeguatamente apprezzare un ulteriore profilo della Relazione inaugurale: l’inadeguatezza del compenso economico dei Giudici Tributari e, soprattutto, il loro ordinamento. La formale dipendenza dal MEF pone non poche questioni in relazione all’osservanza dei principi di imparzialità e terzietà del Giudice. A ciò si aggiunga la loro matrice composita: togati e laici. Non occorre essere dei legislatori particolarmente illuminati per comprendere la necessità di prevedere , almeno, un Giudice Tributario a “tempo pieno”.
La Giustizia Tributaria sarà sempre più il terreno dove potrebbe essere giocata la partita di un auspicabile intervento dello Stato nel settore dell’economia. La recente normativa in materia di voluntary disclosure, ma non meno una seria riforma dei reati economici ( e non solo tributari), potrebbero segnare un percorso diverso per lo Stato ed aprire le possibilità per una concreta azione dell’Amministrazione di contrasto all’evasione fiscale. Ciò impone - oltre che ad una diversa organizzazione di competenze e professionalità all’interno degli Uffici - la figura di un Magistrato Tributario inserito in una struttura efficiente e completa. Il condizionale è d’obbligo ed il timore di una altra occasione persa assai concreto.

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